Era la Pasqua del ’97 quando la nave militare italiana Sibilla speronava di prua e affondava l’imbarcazione albanese Kater i Rades, procurando più di cento annegati. Iniziava così la serie delle più disperate e criminali prove di scoraggiamento e di respingimento di immigrati. Iniziavano i campi di concentramento, le detenzioni che definiscono “ospiti” i prigionieri, colpevoli solo di viaggio non autorizzato. Le loro prigioni potevano durare fino a diciotto mesi.
Intanto a Lampedusa si accatastavano relitti di barconi che avevano compiuto l’ultimo servizio. Non potrà mai essere censito il numero dei naufragi. Sulla base di quelli accertati si calcola per difetto che l’equivalente di venti Titanic si sia spalmato sul basso fondale del Canale di Sicilia. Non servono abissi per sprofondare. Circa il dodici percento dei viaggi non è sbarcato da nessuna parte.
A Ellis Island, isolotto alla foce dell’Hudson, dove milioni di immigrati venivano battezzati cittadini americani con un segno di gesso sulla giacca, nei periodi di più alto respingimento si arrivava al due percento. Hanno sbagliato secolo i migratori di oggi. Hanno sbagliato continente. L’Europa civile è stata rappresentata dalla piccola isola di Lampedusa, stretta porta maestra degli ingressi, e da poco dalla grande isola d’Islanda dove dodicimila cittadini hanno sottoscritto la loro volontà di ospitare a casa i profughi di guerra.
Ci sono state stazioni ferroviarie di Europa che hanno negato il viaggio pure a chi era fornito di biglietto. Di segno opposto la stazione di Belgrado: nei suoi pressi è stato preparato un enorme centro di accoglienza. La Serbia non appartiene all’Unione, ma appartiene del tutto all’Europa e ha scelto di ospitare il passaggio, pur avendo le sue strade ancora affollate di profughi suoi, espatriati da Kossovo, Croazia, Bosnia.
A forza di naufragi di terra e di mare l’Europa ha progredito nel suo vocabolario: a inizio di naufragi usava la parola “clandestini”. Molte stragi più tardi li ha chiamati “migranti”, poi “profughi”, infine “rifugiati”, anche se il rifugio è concesso in poche zone. Per gli annegati, per i soffocati nei camion, sono soddisfazioni. Coi loro corpi, con le loro vite seminate a concime, hanno modificato il vocabolario d’Europa.
Nel nuovo museo di Lampedusa sono raccolte scarpe, biberon, testi del Corano con le pagine gonfie di sale marino. Chi, se non una persona civile al più alto grado, include nel suo minimo bagaglio un libro? Quelle pagine, non annegate con il loro lettore, sono la più forte testimonianza: non del loro diritto di asilo, ma del nostro dovere di darlo.
Sono tornato a Lampedusa l’anno scorso in fine di settembre. Era il primo anniversario del colossale naufragio a mare calmo e a vista della costa. Ho incontrato di nuovo i pescatori che tornando dalla notte in mare erano capitati all’alba in mezzo ai corpi che galleggiavano e ai vivi in ipotermia che stavano da ore aggrappati ai corpi dei compagni annegati. Quei pescatori si sono tuffati in mare per spingere da sotto in su quei vivi rattrappiti, a bordo. Perché si sono dovuti buttare in mare? Perché il mare era lucido di nafta persa dell’imbarcazione e le braccia degli ancora vivi scivolavano tra le mani di chi voleva salvarli.
Con quei pescatori e con il subacqueo che dovette scendere per primo sul relitto, siamo andati sul posto del naufragio. Abbiamo fatto una mossa decisa insieme: abbiamo sparso in mare manciate di sale. Non fiori ma sale, perché quella era una ferita e non si doveva rimarginare. “Sia benedetto il tuo sale, sia benedetto il tuo fondale”, abbiamo detto al mare.
Ci voleva un Papa venuto dal grande Sud per fare come primo pellegrinaggio del suo incarico, una visita a Lampedusa. L’Europa si teneva a distanza.
Noi che siamo nati sulle coste del Mediterraneo, consideriamo nostri fratelli tutti quelli che ci sono venuti a morire. Mi dichiaro testimone di parte offesa, di quel Sud del mondo che costituisce la maggioranza del pianeta. Non sono un osservatore neutrale, né pronuncio diagnosi, faccio parte invece del sistema nervoso del dolore.
I nuovi viaggiatori di sola andata pagano a prezzi di lusso il peggiore trasporto marittimo della storia umana. Viaggiavano meglio gli schiavi deportati dai negrieri, perché erano merce pagata alla consegna. Se moriva prima, il guadagno era perduto. I deportati di adesso pagano in anticipo e non importa se non arrivano a destinazione. L’inutile proibizionismo europeo sul trasporto della vita in fuga, ha reso il corpo umano la merce più redditizia da spostare. Non ha bisogno di imballaggio, si può comprimere in centimetri quadrati, si può buttare a mare, lasciare soffocare in un camion sigillato in pieno agosto. Ha già pagato il viaggio con tutto quello che possiede, vita inclusa.
Non sono mendicanti, non sono analfabeti. Hanno alti livelli di istruzione, hanno denaro che sono costretti a cedere agli sfruttatori della situazione. Non cercano residenza ma sosta. I negatori di asilo sono perciò annegatori.
Di fronte a questa determinazione inesorabile di masse umane in marcia, si può solo pronunciare il benvenuto. Sono induriti a pugno ma hanno un furibondo desiderio di un sorriso, di una mano aperta. Più del pane e del tetto, serve loro un abbraccio. Chi non se la sente, chi si chiude in casa, lasci stare, scolleghi l’informazione, si volti dall’altra parte. Ma sgomberi il passaggio. Che i pellegrini della salvezza possano andare al riparo che cercano, che bussino alla porta dell’amico, del parente. Che offrano alla nuova abitazione la loro migliore energia di gratitudine e di ripartenza. Il 12 percento del PIL italiano è prodotto da piccole imprese di stranieri arrivati da tutte le spine della Rosa dei Venti. Non li abbiamo invitati, sono venuti e basta. Per lavorare e basta. Per prosperare e fare prospero il luogo che li accoglie. Così stanno le cose: dal vagabondo Abramo in poi. Così è oggi e sarà domani.
L’Europa considera se stessa terra di mezzo, centro di equilibrio tra Oriente e Occidente. Non lo è. Oggi è un’espressione economica. Al suo inizio è nata per impedire cause di altre guerre, dopo la seconda mondiale. Nasce contro i fascismi e i razzismi. Oggi l’Europa non è centro di niente. Un proverbio africano dice: “Siamo in due e tu vuoi correre in mezzo”. L’Europa crede di correre in mezzo, ma sta invece da sola di fronte alle guerre delle Mediterraneo. Non decide di scegliere i vincitori, aspetta che vinca il peggiore per concludere i nuovi affari. Effetto collaterale di questo opportunismo inerte è lo spostamento di masse umane in esodo forzato. Esodo è parola greca che indica semplicemente “uscita”. L’Europa non ne vuole intendere la causa e si sgomenta per l’effetto entrata. Invece è solo una via di uscita.
Il poeta Izet Sarajlic dopo gli anni del lungo assedio della sua città, Sarajevo, diceva che per lui l’Italia era il martello rosso, quello che sta nei mezzi pubblici e che serve a rompere il vetro in caso di incendio. L’Italia era l’attrezzo che gli faceva rompere l’assedio. Niente di più e niente di meno è oggi l’Europa per i profughi: il martello rosso per aprire una breccia dentro l’autobus in fiamme. L’Europa aspira invece a essere il vetro, possibilmente infrangibile. Ma i fili spinati, le reti, i recinti funzionano con il pollame, non con la specie umana. Chi va a piedi non può essere fermato.
L’Italia è ponte di natura fra tre continenti. È prolunga di Europa a sud est, verso Africa e Asia. La geografia ha deciso della nostra storia. Siamo terra di passo di uccelli, di merci, di religioni, di invasioni, di espulsioni. Abbiamo il sangue misto selezionato da stupri e da epidemie. Siamo, perciò più esperti e più colpevoli dei torti di omissione.
L’Europa, mediterranea per nome e per influsso, guardi all’Italia come al suo termometro infilato nell’ascella del Sud a misurarne la febbre. Guardi ai nostri vani respingimenti, ai nostri campi di concentramento per richiedenti asilo e faccia esattamente il tutt’altro. Sia il martello rosso e non il vetro.
Mentre scrivo questa nota, la Germania e l’Austria sotto pressione di opinione pubblica aprono le frontiere. La Germania dichiara diritto di asilo senza restrizione di numero. Si interrompe bruscamente il Trattato di Dublino che carica sui paesi di prima identificazione l’onere di accoglienza. Non sia l’occasionale parola di un ravvedimento. O è la prima di un’altra Europa oppure è cambio di vetrata.
THE RED HAMMER
“Even when we’ve got the seats and they’re standing up, they’re still taking our places.” With this line the Brazilian poet Ledo Ivo captured our sense of intolerance towards the foreigners that misfortune has thrust among us.
It was Easter in 1997 when the Italian military ship Sibilla rammed its bow into the Albanian vessel Kater i Rades, sinking it and causing more than one hundred to drown. So began the present series of attempts—the most desperate and criminal sort—to discourage and repel immigrants. The concentration camps were begun, the detentions that defined prisoners as “guests,” when the only crime was unauthorized travel. Their imprisonment could last up to eighteen months.
In the meantime, back in Lampedusa, the wrecks of barges done with their duties were piling up. No census will ever be capable of listing the numbers lost. Estimating on the basis of what’s known, the equivalent of at least twenty Titanics are spread across the shallows of the Strait of Sicily. It’s not an abyss they fell into. Nearly twelve percent of the voyages never made it to shore.
On Ellis Island, a small isle at the mouth of the Hudson River, where millions of immigrants got baptized as citizens with a mark of chalk on their coats, the highest number rejected reached only two percent. Today’s migrants picked the wrong century. And the wrong continent. Civilized Europe has been represented by the tiny island of Lampedusa, its narrow main entryway, and more recently by the great island of Iceland, where twelve thousand citizens have signed up as willing to host war refugees in their homes. There have been train stations in Europe refusing travel even to people with train tickets. The station in Belgrade is on the other side: there an enormous welcome center has been prepared. Serbia doesn’t belong to the Union, but it belongs all the more to Europe and has decided to host the crossing, even when its streets are still full of refugees of its own, from Kosovo, Croatia, and Bosnia.
As a consequence of the wreckage on land and sea Europe has made progress in its vocabulary: when the shipwrecks began they called them “stowaways.” After a great deal of carnage, they started to use the word “migrants,” then “asylum-seekers,” and finally “refugees”—even if refuge is granted in only a few areas. For the drowned, and those who suffocated in truck compartments, these word are gratifying. With their bodies, with their lives sown as fertilizer, they have changed Europe’s vocabulary.
In Lampedusa’s new museum are gathered shoes, baby bottles, and copies of the Qur’an with pages swollen by sea salt. Who other than people of the highest level of civility would include a book in their spartan baggage? Those pages, which did not drown with their readers, are the strongest sort of testimony: not for their right to asylum, but of our duty to grant it.
I returned to Lampedusa last year at the end of September. It was the first anniversary of that colossal shipwreck on calm seas within sight of the coast. I met again the fishermen who, coming back from a night at sea, had found themselves at dawn in the midst of floating corpses, with the living in hypothermia after holding on for hours to the bodies of their drowned companions. The fisherman dove into the sea in order to push up from below those shriveled survivors, and bring them on board. Why did they need to jump into the sea? Because the lost vessel had left the sea slick with oil and the arms of those still living slipped from the hands of those trying to save them.
We returned to the wreck with those fisherman and the first diver who first had to visit the wreckage. Together we made a determined gesture: we scattered handfuls of salt into the sea. Not flowers, salt—because it was a wound, and it wasn’t allowed to heal. We said to the waters, “Blessed be your salt, and blessed be the bottom of your seas.” It took a Pope from the global South to make a visit to Lampedusa the first pilgrimage during his term of office. Europe was keeping its distance.
We who were born on the shores of the Mediterranean consider our brothers all those who have come here to die. I declare myself as a witness for the plaintiffs, for that global South constituting the majority of the planet. I’m not a neutral observer, and I don’t offer diagnoses; instead I’m part of a nervous system that reacts to pain.
These new travelers are paying first-class prices for their one-way tickets and getting the worst maritime transport in the entire history of humanity. Slaves commercially deported by slave drivers traveled better, since that merchandise was paid for on delivery. If the slaves died before arriving, the profit was lost. Today’s deportees pay in advance; it doesn’t matter if they arrive at their destination. The ineffective European prohibition against the transport of people trying to escape has turned the human body into the single most profitable kind of cargo. No need for special packaging—it can be packed into a few square centimeters, thrown into the sea, or left to suffocate in a closed truck compartment in mid-August. They’ve paid for their voyage with everything they possess, including their lives.
They aren’t beggars, they’re not illiterate. They’ve gone to school for years, and they have money, but they are forced to give it to those who exploit their situation. They’re looking for a place to rest, not a residence. The executives who deny them asylum are thus executioners.
Faced with the inexorable will of these human masses on the move, one can only wish them welcome. They’ve been hardened by beatings but long fiercely for a smile, for an open hand. Even more than bread or shelter, they need a hug. People who aren’t up to the task, who stay closed up at home, forget it—they should turn off, tune out, and turn away. But they should also get out of the way. So that the pilgrims searching for salvation may find the shelter they see, so that they may knock on the door of a friend, or a relative. So that they may give to their new dwelling their best energy, of gratitude and of leave-taking. Twelve percent of the Italian GNP is produced by the small businesses of foreigners, and they tread across every thorn from the Rose of the Winds. We didn’t invite them, but they’re here, and that’s it. They came to work, that’s it. They want to prosper and to help make the place that welcomes them prosper. That’s how things are, from the times of Abraham the wanderer till now. As it is today, it will be tomorrow.
Europe considers itself a land between, a center of balance between East and West. It isn’t. Today it is an economic expression. At its start it was born in order to prevent the causes of other wars, at the end of the second World War. It came into the world to counter fascism and racism. Today Europe is a center of nothing. An African proverb says, “There are only two of us, and you want to run in the middle.” Europe believes it’s running in the middle, but instead it stands alone, facing the wars of the Mediterranean. Not deciding to choose the winners, instead it’s waiting for the worst to win, so that it can sign some new contracts. The collateral effect of this opportunistic inertia is the displacement of masses of people in a forced exodus. The word “exodus” is Greek and simply means “exit.” Europe doesn’t want to understand the cause and is alarmed at having become an entryway. Actually, it’s mainly an exit.
After long years enduring the siege of his city, Sarajevo, the poet Izet Sarajlić said that for him Italy was the red hammer, the sort that you find in public transport so that you can break the windows in case of a fire. Italy was the tool that broke the siege for him. Europe today is nothing more and nothing less for the asylum seekers: the red hammer that can widen up a breech inside a burning bus. Instead Europe is striving to be the glass, hoping that it will be shatterproof. But barbed wire, mesh, and fences work for poultry, not for people. Those who go on foot cannot be stopped.
Italy is a natural bridge between three continents. It extends Europe to the southeast, towards Asia and Africa. Geography has decided our history. We are a land of passage for birds, for merchandise, for religions, for invasions and expulsions. We have mixed blood, the result of rapes and epidemics. So we are all the more expert, and our crimes of omission all the more inexcusable.
Europe, you are named and influenced by the Mediterranean: you must look at Italy as your thermometer, stuck into the armpit of the South to check for fever. Look at our useless efforts to turn them back, at our concentration camps for those who seek asylum, and do precisely the opposite. Be the red hammer, not the glass.
As I write this note, Germany and Austria, under public pressure, are opening their borders. Germany has declared the right to asylum without numeric quotas. The Dublin Regulation, which places the duty to grant asylum on the first country to register the newcomers, has been abruptly suspended. This shouldn’t be an momentary expression of remorse. It’s either the start of a new Europe, or a change of window dressing.
quanta amara verità…..
tempo fa mi sono imbattuto nel pregevole testo di Erri “l’ultimo viaggio di Sindbad”, di alcuni anni fa e terribilmente attuale. Subito ho coltivato l’idea di portarlo in scena.
Agli aspiranti attori ho chiesto di allineare cuore e copione. Soltanto se convinti della drammaticità di questo esodo biblico e se solidali con i disperati, il lavoro può vedere la luce e lanciare un messaggio di umanità.
Qualche entusiasmo, qualche diffidenza, qualche rinuncia…. , poi l’abbandono del progetto.
Ci siamo comportati esattamente come l’Europa: indifferente, insofferente, restia….
Quando facevo le medie avevo una insegnante che usava darci il titolo del tema e voleva che, come compito, noi iniziassimo 10 svolgimenti al fine di imparare ad affrontare lo stesso argomento da 10 punti di vista diversi: lo considerava un esercizio per aprire la mente di dodicenni un po’ imbranati.
Di fronte al tema dei fratelli e delle sorelle in cerca di quella sicurezza e quella vita che gli è stata negata nella loro terra di origine, si mette in moto in me il meccanismo di allora e vedo una miriade di sfaccettature ognuna che fa risaltare un aspetto del problema, ognuna che ha il diritto di essere approfondita.
Forse è la vastità del problema che richiede tempo affinchè i politici europei trovino soluzioni percorribili: eppure papa Francesco ci ha appena dimostrato che la soluzioni semplici e fattibili esistono.
Di certo è che si è creata una netta frattura nella nostra Europa tra coloro che “governano” e coloro che sono governati: i primi -almeno all’inizio- erano tutti tesi al respingimento con metodi più o meno violenti (fili spinati, affondamenti, idranti, guerriglia). I secondi pronti ad attivarsi nei rispettivi paesi, ignorando anche le leggi della propria nazione, per accogliere sui loro natanti i dispersi in mare, o andando con le loro auto incontro a coloro ai quali viene impedito di spostarsi con i treni tra confini di Stato.
È la fotografia di una società dove, sempre di più, c’è scollamento tra i cittadini e chi li governa.
Contemporaneamente ci sono esempi negativi di “essere umano” che, guardando esclusivamente ai propri interessi, si arricchiscono con questi esodi forzati o che, guardando ad interessi di gruppi ristretti, si approfittano o si approfitteranno del disorientamento generale per raggiungere i loro scopi.
Oppure – più semplicemente, ma non meno pericolosamente – molti provano disagio nei confronti di chi è diverso, o paura di essere da loro privati di qualcosa, o anche terrore per la propria vita che considerano in questo modo minacciata.
Fortunatamente la maggioranza silenziosa si scrolla di dosso la paura e con positività, prudenza e semplicità condivide il mangiare, i vestiti o la casa per accoglierli dopo viaggi pericolosi ed estenuanti: è il loro esempio che fa risvegliare la dignità e la fratellanza e fa così aumentare il numero dei partecipanti alla grande famiglia degli esseri umani.
Una signora di un paese della Sardegna – già provato abbondantemente dalla crisi – dove si stavano organizzando per accogliere queste persone meno fortunate, ad un giornalista che gli chiedeva perchè stava portando generi di conforto ha risposto:
“non chieda a me perchè lo faccio ma chieda il perchè a chi non lo fa”.
Questo articolo è terribilmente vero, in ogni parola, in ogni azione dobbiamo ricordarci che tutti siamo figli delle immigrazioni, tutti ! Siamo il risultato di una storia infinita di spostamenti per infiniti motivi. Le politiche economiche dell’occidente non hanno fatto altro che creare disperati nel sud del mondo: ricchissimo di risorse e sfruttato in ogni periodo della storia.
” Non sia l’occasionale paola di un ravvedimento.O è la prima di un’altra Europa oppure è cambio di vetrata. ”
Dammi mo’ quel martello rosso, quello che sta nei mezzi pubblici e che serve a rompere il vetro in caso d’incendio.