In aprile la terra butta fuori quello che si è tenuta dentro nei mesi dell’inverno. Spuntano gemme sui tronchi, fioriture trai cespugli, il seminato di autunno affiora in superficie.
L’Ucraina è un’immensa pianura il cui suolo si sta risvegliando. Su di lei erano passati i cingoli dei trattori, seguiti da altri cingolati. La guerra ha attraversato i campi senza conquistarli, lasciandoseli dietro. Oggi i combattimenti si fanno contro, dentro, in mezzo alle città dove ogni casa diventa postazione militare.
Intorno intanto si scioglie la neve sul più vasto granaio del continente Europa. La terra solleva i suoi getti verso l’alto, insieme al sole che a ogni mezzogiorno porta più in su la verticale sopra l’orizzonte.
Il silenzio dei campi è il più opposto a quello delle città svuotate dai fuggiti. Le strade sono servite per andarsene oppure si sono chiuse a trappola con i rimasti dentro.
Il silenzio delle città è funebre, quello dei campi vibra di fervore. Crescono le spighe e si rinforzano col vento.
Raccolto o lasciato agli uccelli, trebbiato e dato alle fiamme, il grano è la più precisa parola di pace pronunciata in coro dalla terra, al di sopra, al di là delle distruzioni.
imparo a leggerti e a conoscerti…alla luce di quanto accade ”i pesci non chiudono gli occhi” svela le grida di dolore dei bambini vittime di guerra…i loro pianti…il loro canto…
Caro poeta, sembrano passati secoli da quando dal piano ammezzato di una ringhiera osservavamo a strisce una primavera blindata dalla pandemia, invece sono solo due anni. Mi sembra di ricordare la sensazione di aver saltato la stagione a pie’ pari, vedendola alla stregua di un carcerato da dietro le finestre. Era comunque confortante vederla sbucare. Tuttavia mai come quest’anno mi pare di non vederla proprio. Il nord Italia paga il prezzo alle mutazioni climatiche con mesi di siccità, la terra è reietta alla sua naturale mansione di produrre vita. La guerra che ipocritamente sentiamo più vicina rispetto ad altre distoglie lo sguardo da quel poco di gentilezza che c’è. Dicono passi più veloce il tempo se si smette di contarlo, ma un tempo di disgrazie così lungo non si era più visto dai tempi in cui i nonni facevano la fila con la tessera annonaria in mano. Sì sì, è venuta Primavera anche quest’anno, ma non dappertutto, in Europa ha stracci addosso, puzza d’inverno e ci nega gli alimenti. Quest’anno come mai la primavera va cercata in mezzo alla ferocia dei nostri errori. Mi piace pensare che risponda ad altre dinamiche, che se ne fotta se non apprezziamo il suo abito e del resto, perché dovrebbe presentarsi al meglio, visto quello che gli abbiamo preparato al suo ritorno? Un bacio poeta. Portamela tu la primavera, ti aspetto a Torino al Salone del libro. Kiss B.
Terra di pane quotidiano