La faccia di Sergio è una foto segnaletica del 1900. C’è la mappa dei bivacchi in montagna,
uomini saliti a decimare e a farsi decimare, comandanti a vent’anni.
Il fuoco è il compagno dei partigiani, il fumo è la spia che li denuncia.
Si impara a fare un fuoco senza fumo, legna secca, senza foglia.
S’impara a togliersi le spie dal pelo. S’impara a disperdere le tracce, a marciare di notte, a sistemare
una carica esplosiva, a organizzare un’imboscata a partire dalla via di fuga.
Il 1900 è stata la più grande scuola di guerra per truppe irregolari.
La faccia di Sergio è scritta.
Gli operai hanno spesso gli occhi stretti, con intorno un reticolo di rughe cresciute come filo
spinato a protezione delle pupille. Vengono da lavori che alzano polvere, fumo, schegge. Gli
operai si riparano stringendo gli occhi nelle ore di turno.
I partigiani hanno gli occhi al servizio delle orecchie, pronti a voltarsi, a calcolare al volo.
Hanno febbre d’insonnia. Sergio è rimasto partigiano a vita. La guerra si prolungò per lui con
l’esilio per non essersi fermato il 25 aprile del’45. Si era arruolato da solo salendo in montagna,
non si faceva sciogliere da un atto ufficiale. La fine della guerra era soltanto la sconfitta militare
e dei nazisti e dei fascisti, ma la vittoria dei partigiani non era arrivata. Era stata interrotta.
Sergio da allora è partigiano a vita. Non si è pacificato con nessun potere costituito, la repubblica
era solo meno peggio dell’infame monarchia.
La faccia di Sergio è andata a piedi tutta la vita. Si è fatto la barba con la neve, i suoi occhi hanno
un infrarosso che illumina il cuore di un uomo e lo fruga senza bisogno di fare domande.
Sergio non si sbaglia: di fronte a un’alternativa sceglie sicuro la più scomoda.
A una tavola lascia che gli altri si servano prima, in una discussione ascolta e poi prende in giro
con un paio di occhiatacce quello che l’ha sparata grossa, ha dichiarato il punto che non ha.
Sergio è il nostro capostipite, un vicolo cieco.
Dietro di lui si chiude il nostro 1900, il secolo più lungo della storia.
Foto di Danilo De Marco
Grazie Erri
…grondano i giorni nella vita, passa il tempo e porta via, il poeta, lo scrittore possono raccontarli… Bella vita, Sergio.
Grazie Erri De Luca
Erri, che frequenta i sentieri pietrosi delle Scritture di Israele, sa quanto in quelle pagine che di quei sentieri sono le pietre miliari, la memoria abbia un valore fondamentale. Nella Pesah, il padre raccoglie attorno a sè i figli perchè ascoltino il racconto che ogni anno si rinnova del lungo esodo dalla schiavitù alla liberazione, dalla servitù al servizio. Ricordare gli uomini come il “Cid” ha questo valore, la stessa funzione del racconto paterno nella Pesah – che vuol dire salto, passaggio. Per alcuni e alcune la Resistenza-Pesah fu un passaggio nel buio delle torture e della morte per altri e altri un salto nell’amarezza di sentirsi traditi. Non arrendersi, continuare ogni giorno la nostra personale Resistenza è un omaggio a chi ha sacrificato gli anni più belli della vita.