Un giorno di primavera me ne uscii di casa al mattino come al solito, ma quella volta fu per non tornare. Era l’ultimo anno di liceo. Disertai la casa, lo studio, gli orari, i pasti. Per qualche giorno vagai nella città senza far niente, nell’ubriacatura triste della prima e totale libertà.
Immaginavo di fare il pescatore, non a Mergellina, ma alle isole Lofoten, pescatore di merluzzi. Conoscevo uno che ci era stato.
Mi cercavano, decisi che avevo inaugurato una falsa partenza, tornai a casa. Lo strappo era uno squarcio irreparabile, niente da rammendare. Mi rimisi a studiare per andare all’appuntamento con l’esame. Non m’importava superarlo, volevo togliermi di dosso il sospetto degli altri, di essere fuggito dalla prova. Non ero fuggito. Mi ero tolto dal circo e dal circuito.
Studiai con la precisa rabbia di disfarmi degli argomenti da dover discutere. La notte prima dormii nel letto in cui erano cresciuti i miei centimetri, sapendo che l’avrei liberato presto del mio corpo. Nel frattempo si era compiuto il diciottesimo anno di età, traguardo dal quale mi aspettavo una trasformazione. Invece non dipendeva dal passaggio di una mezzanotte, dipendeva da me.
Il giorno uno degli esami i miei genitori mi accompagnarono per essere certi che ci sarei andato. Diffidavano ormai di me. Avevano ragione, ma non per quella circostanza. Avevo deciso di andare allo scontro tra quell’aula e me stesso. Dopo il rientro dall’assenza sapevo che me ne sarei andato ancora, ma con i saluti dell’ospite in partenza. Era un giorno rovente di luglio, per contrasto ero freddo fino a poterlo sentire. Opponevo resistenza pure al termometro. Comunque ne sarei uscito definitivamente.
Perciò la notte prima non ripassai materie, ma la vita precedente. Era stata l’accumulo di una carica, stavo nella camera di lancio.
“Esami: addio setacci, con questo avete smesso d’impormi i vostri criteri di giudizio, di ammissione, di esclusione. Qualunque esito sia, dopo di questo, nessun altro”. Era il mio intento muto e sigillato.
L’ho trasgredito una volta sola, dieci anni dopo presentandomi all’esame per la patente di guida. Gli esami, vendicativi del mio rifiuto di frequentarli, mi bocciarono.
Erri
A volte,poi,e’ bene guardarsi con l’occhio
Dello straniero che ci abita.
Deporre la bilancia e scorrere,
Semplicemente scorrere.
gli esami imposti dagli altri sono duri da affrontare, a tutte le età, e ancor di più per la gente sensibile. Ma quelli più difficili sono sempre gli esami con se stesso, implacabili e meno “intromissivi” degli altri.
Ecco cosa facciamo tutta la vita, continuiamo a cercare l’equilibrio tra il bianco e il nero, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, la luce e l’ombra. Ma viviamo davvero soltanto nel momento in cui lasciamo pendere la bilancia dove naturalmente pesa di più, pagandone il giusto prezzo, senza preoccuparci di cosa ci sia nel mezzo, seppure pare che da quelle parti risieda la virtù. Stamattina un clochard in metropolitana coperto di stracci maleodoranti discuteva amabilmente con se stesso, se la rideva di gusto, sbraitava, poi prendeva a piagnucolare ma sempre con misurata dignità. La verità è che mi è sembrato mille volte più felice di tutti gli altri passeggeri vestiti in doppiopetto blu e con la barba rasata di fresco, gli occhi incollati a uno schermo luminoso ma lontani anni luce dalla realtà, quella cruda, sporca, ma in grado di tenerti i sensi vigili, reattivi e coi sensi le emozioni. Erri è un poeta della parola come dei ponti, è il risultato della somma dei suoi anni, ciascuno di essi gli ha dato un valore aggiunto, permettendogli di passare dalla calce all’inchiostro, come se fossero facce della stessa medaglia, mezzi dello stesso scopo: costruire. Lui continua ad essere tuttora operaio e già a vent’anni era scrittore, l’ago della bilancia si è perennemente spostato più in là o più in qua, non cambiando però il valore della sostanza, ma solo la sua forma, a seconda delle circostanze. Sono lieta di riconoscere in quei sassi la consistenza asciutta, possente, vera, coerente della sua natura umana, che è la stessa dei suoi ricordi e della sua deliziosa letteratura.
Dubbi sulla bilancia:scultura o scrittura.?
Solo poesia in forma di pietra.
Dubbi sulla scultura:bilancia o scrittura?
Poesia in forma di pietra non di parole.
Sulla pergamena del mondo il bianco e
Il nero sembrano dire niente di nuovo
Sotto il sole.
Saluti da Gerusalemme
Non ho potuto sottrarmi all’esame in sala parto. L’ho ripetuto tre volte. Le uniche volte che non ho rifiutato il “voto”: era farina del mio sacco, per cui ho capito chi sono. Così ho saputo rispondere…
Pantani correva con la stessa mia tensione: il traguardo era una “liberazione”. Ogni interrogazione un dover dimostrare di non-essere: come gli altri. Cioè come volevo essere e dove volevo essere.
Finisco di zig-zagare… É l’ombra della pietra che dà equilibrio alla bilancia.
Certo che avevi un bel caratterino, da adolescente! Mi metto nei panni di quelle due povere vittime dei tuoi genitori. Nell’età adulta, narrando di loro, li hai più volte assunti a martiri, riuscendo a riscattarti agli occhi dei tuoi lettori, cercando di riscattare anche la tua coscienza, sei sicuro di esserci riuscito?
“Conosco il silenzio dei vecchi. Me l’hanno lasciato in eredità dopo averlo riempito di tutta la volontà di rispettare il figlio… Non è assenza di rumore il loro silenzio, ma le due labbra di una ferita aperta…” Quanto sarebbero orgogliosi nel leggerti, ripagati, un po’ tardi, del loro penare.
I miei dubbi e ribellioni adolescenziali, di gran lunga più miti dei tuoi, non hanno martirizzato i genitori, solo disorientati un pochino. Ma tant’è, la nostra generazione è stata così e i “matusa”, volenti o nolenti, hanno dovuto adeguarsi.
Alla maturità classica non ho avuto l’impulso di scappare, solo un po’ di tremarella, sopportata come un destino ineluttabile. Ma solo a livello conscio. Il mio inconscio, però, non l’ha passata liscia. Ho affrontato prove stressanti, sempre con sicurezza, determinazione, apparentemente senza ansie, ma ogni volta lo spauracchio dell’esame mi aggredisce prepotente con incubi notturni.
Chissà se almeno nella vecchiaia perderà la sua forza angosciosa riducendosi a mero ricordo giovanile, oppure resisterà, compagnia opprimente fino all’ultimo viaggio…
Guidi male anche adesso ma è un piacere starti a fianco e ascoltare i tuoi silenzi.
Una pietra bianca e una nera che hanno lo stesso peso. Le pietre sì, gli uomini no.
Altra lettura: Il nero serve da contrappeso al bianco.
Altra ancora: Bianco e nero in bilico, da che parte scenderà la bilancia?
Quell’ottantasei non è mio.
E”capitato per caso nel mio
Cellulare manipolato?
L’immagine:una scultura primitiva
Una bilancia di pietra?
Bella comunque.86
Chiose o note a lato del tuo testo
Ma stesso contesto
La consapevolezza più grande:La libertà
Dell’obbedienza,saper dire dei sì e dei no.
Ricordando il cielo stellato sopra di noi
La legge morale dentro di noi
Poi infiniti sono i fraintendimenti
-perché siamo fatti a immagine
e somiglianza di Dio?-
-perché siamo tutti diversi-
Forse l’unica legge potrebbe essere
-ama gli altri e amerai te stesso-
Non è mai troppo tardi per capire