Ogni tanto qualcuno si rivolge a me chiamandomi “maestro”. Nego puntualmente il titolo che non mi spetta per studi svolti né per vocazione. Non sarei capace d’insegnare neanche il gioco di carte della scopa, del quale mi ritengo esperto. Sono rimasto allievo. Allo stesso modo, poiché non sono genitore, sono rimasto figlio.
Di recente si è aggiunta la qualifica di cattivo maestro. Non potendomi attribuire il ruolo di mandante, che riguarda una fattispecie penale, alludono a una mia capacità di fuorviare. Nessuno dei miei interventi in pubblico ha forma di lezione, di indottrinamento. Invitato in una scuola, su un palco di teatro, in una libreria, racconto storie cercando di tenere compagnia per l’occasione.
Da lettore so che la letteratura è un intrattenimento capace di nutrire, ma non serve a persuadere. La letteratura accompagna, non arruola. Appena prova a farlo si degrada.
Svolgo attività di scrittore, che non è per me un lavoro né un mestiere. È quello che mi è riuscito meglio di fare nel tempo salvato, opposto a quello occupato dal lavoro. E’ stata la mia difesa dall’usura degli anni salariati. Salario viene da sale, mezzo di pagamento del lavoro nell’antica Roma. Ho saputo che quel mio salario dipendeva piuttosto dal sale che sudavo. Un contatore invisibile applicato al dispendio di energie operaie, misurava la paga.
Opposta la scrittura: dimostrava a me stesso che la giornata non era andata tutta al macero del corpo, ma si era procurata un suo riscatto.
“Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come”, scrisse Nietzsche. La scrittura è stata e rimane il mio perché. Mi attengo perciò al titolo precario di scrittore, augurando buoni maestri alla scuola italiana.
La prima volta che ho letto le riflessioni scritte da Erri in “Maestri” ho sentito tanta tristezza dentro di me. Queste parole mi hanno richiamato la sporcizia che persone ignoranti (cioè persone che ignorano) riescono a spargere quando – anziché impegnarsi per capire ciò che per loro ha un significato diverso – cercano di riportare nei propri limiti quello che è ben oltre il limite del loro “livello”.
Purtroppo le parole di queste persone si insinuano nell’altro e lo inducono a prenderle in considerazione.
Questo a mio avviso il motivo ispiratore di “Maestri” e della tristezza da me provata.
Sono una dei tanti che segue Erri De Luca e che legge i suoi libri e la definizione di maestro inteso come colui che “insegna” (dal latino insĭgnare cioè “imprimere segni) gli è molto distante. Invece per me Erri è colui che educa (dal latino educĕre cioè “trarre fuori”).
Ci sono parole che non aggiungono nulla di nuovo nell’ascoltatore ma fanno semplicemente risuonare in lui ciò che già possiede interiormente… e questo lo arricchisce
Ci sono invece parole che sotto stimoli più o meno velati o violenti obbligano/influenzano l’ascoltatore ad allontanarsi dal suo modo di essere per diventare altro nel modo di pensare o nelle sue abitudini….. e questo gli nuoce.
Caro Erri
in India si dice che bisogna essere come degli alberi di mele in cima ad una collina: questi alberi lasciano andare i loro frutti che poi rotolano sul prato scosceso, incuranti di dove andranno a finire e di chi li prenderà.
Ecco, per me sei uno tra gli alberi di mele più belli che ho conosciuto nella mia vita e ti ringrazio per le mele che ogni tanto mi vado a raccogliere.
Molti anni fa si è molto discusso dei buoni e dei cattivi maestri, allora ero ragazza e lo sono rimasta considerando che mi stupisco sempre quando uno scrittore viene redarguito o incriminato per ciò che scrive o dice. Le parole non appartengono a chi le scrive ma il lettore
le fa proprie o l’uditore può non ascoltare, esiste un libero arbitrio. Personalmente non amo la parola maestro o maestra la trovo un po’ ridicola se la si usa fuori dal contesto scuola,
ma questa è una mia idea. Lei ha citato Nietzsche che credo abbia contribuito in parte all’ascesa
del nazismo e dei fascismi del Novecento, sicuramente non era sua intenzione,
ma così è stato. Eppure nonostante non sia il mio filosofo preferito la frase da lei citata
“Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come” me lo ha reso, solo per una
piccolissima cellula, fratello.
L’ esempio è il migliore degli insegnamenti. E di questo non smetterò mai di ringraziarLa.
sono sempre i migliori maestri che rifiutano il titolo di “maestro”
Un allievo del proprio talento nel Paese dove la provenienza e la filiazione ci obbliga a mantenere maestri prestabiliti, ma senza talento.
grazie delle preziose parole, noi “maestri della scuola italiana” siamo in tanti, i “buoni” sono pochi e sempre meno ed io non mi sento fra questi, mi piace pensare che se si rivolgono a lei con quell’appellativo, forse è perché pensano ad una scuola più vasta e priva di muri e censure, “maestro di vita”? In tal caso si rassegni all’incanto che accade, nostro malgrado e al di là delle scelte e delle professioni.
la parola non arruola, per fortuna, ma nutre, sì e il nutrimento, va da sé, è vitale.
Grazie Erri, questo mi piace proprio
Intanto persone, sparse per lo sivale, leggono tue pagine in pubblico e all’aperto. Qualcuno vuol metterti da parte e molti ti voglioni bene.