“Non si affitta a napoletani”, leggevo questo cartello sul portone della casa di Torino dove abitavo alla fine degli anni ’70. Ero ospite di una torinese, un abusivo ammesso. A quell’epoca il cartello non mi sembrava così ostile. In altri caseggiati si affittava , e come, ai noialtri spiantati dal sud e a prezzi osceni : neanche letti singoli ma da condividere con qualche altro operaio di turno sfalsato, in soffitte da “balla coi topi”. Nl palazzo dove abitavo, almeno lì, avevano deciso di non sfruttare il bisogno di un alloggio degli emigrati dal sud. Con il termine “napoletani” indicavano tutto il meridione. Napoli era termine dispregiativo di capitale.
Me n’ero andato a diciott’anni da quella città di origine e mi tenevo stretto il dialetto, timbro di provenienza. “Di dove sei ?”, “Vengo da Napoli”. Avrei dovuto rispondere “di Napoli”, invece usavo il “da”. Mi sembrava un abuso dirmi uno di Napoli. Partito da lì, non mi spettava più il titolo di appartenenza, essere di. Lo avevo tradito, quel posto, lasciandolo. Perciò Napoli era la mia denominazione di origine: venivo da lì.
Chi viene dal sud e pure dal 1900 sa che il sud se n’è andato dentro navi e treni a fare presa altrove. Si è tolto di casa, di affetti, alzandosi da tavole magre e avviandosi a una biglietteria con un fagotto in spalla. Chi viene dal sud e dal 1900 ha saputo il significato preciso della parola straniero. Prima del viaggio, dell’acquisto di un biglietto di sola andata, è stato straniero in patria, figliastro di matrigna, senza tutela e diritto.
Oggi da noi è in vigore una legge che accusa di immigrazione clandestina l’ equipaggio di un peschereccio che salva dei naufraghi in mare. E’ previsto il sequestro dell’imbarcazione, la rappresaglia economica contro i salvatori. La definizione esatta per questa misura di legge è : infamia.
Oggi da noi si può detenere un viaggiatore sprovvisto di permesso di entrata per Sei ( ci vuole la maiuscola) Mesi dentro un campo di concentramento, luogo con minori diritti di un penitenziario. Applico la parola infamia anche a questa misura.
Domando se sono servite a qualcosa queste punizioni inflitte a viaggiatori della emigrazione. Sono riuscite a controllare i flussi migratori? No. Li hanno scoraggiati? No. Sono invece serviti a sfruttare i bassi sentimenti della paura, dell’avversione per conquistare maggioranze elettorali.
I campi di concentramento sono destinati a diventare musei. Sono stato a Ellis Island, l’isoletta di New York alla foce del fiume Hudson, dove sono sbarcati Dieci Milioni di emigranti dopo la traversata dell’oceano. Vedevano spuntare dall’orizzonte prima la Statua della Libertà, verde pisello, poi subito dietro c’era l’isola della ispezione corporale.Si veniva controllati in bocca e sotto le palpebre.Gli emigranti erano chiamati “aliens”. Sono stato sui gradini della scala che separava di nuovo e per sempre chi era ammesso e chi no. Oggi Ellis Island è un museo. In una sua sezione minore ci sono dei pannelli dedicati al penitenziario di Alcatraz, che si trova su un’isola dell’ oceano opposto,il Pacifico, nella baia di San Francisco. Mi ha stupito l’accostamento tra i due reparti della detenzione, quelli per emigranti e quello per carcerati speciali. Eppure c’era un vincolo tra quei due luoghi sbarrati, chiusi dal mare e dalle sbarre. Erano isolamenti per smaltire una quarantena, una penale per colpevoli,Alcatraz, una per innocenti, Ellis Island.
Delle migliaia di testimonianze raccolte nell’archivio dell’isola di cernita , riporto quella di un emigrante meridionale. Buffo che devo tradurla in italiano dall’inglese, in cui fu pensata e trascritta. “Mi avevano detto che a New York le strade erano lastricate d’oro. Quando sono arrivato mi sono accorto subito di tre cose : Una, non c’era nessun oro per le strade; due, che non erano nemmeno lastricate; tre, che a lastricarle ci dovevo pensare io.”
Quelli che viaggiano adesso senza porto di arrivo, accatastati su scialuppe e zattere, non sono attirati da leggende luccicanti , come il nostro emigrante del secolo scorso. Sanno che l’oro del sacrificio e del lavoro duro ce lo devono mettere loro. Sanno da diretta fonte l’asprezza micidiale del passaggio, lo sbarco di fortuna senza vitto,alloggio e senza la misericordia di un sorriso. Eppure puntano tutto i gruzzolo della vita in un solo lancio di dadi sulla superficie del deserto e del mare. Nessuno sbarramento, ostacolo, minaccia, li scoraggia. Sono invincibili per numero e per volontà. Vengono a lastricare strade, a vendemmiare, a raccogliere olive, pomodori,mele, impastare calce, custodire bestie nei campi e anziani a domicilio. Vengono a vendere la loro sola merce, a noi preziosa e urgente : la loro forza di lavoro.
La scrittura sacra onora lo straniero, non per la sua merce di bracciante, lo onora e basta, senza tornaconto. Raccomanda di lavare i piedi al pellegrino, all’ospite improvviso. Neanche deve attendere che bussi all’uscio: Abramo si precipita incontro ai tre che vede da lontano avvicinarsi al suo accampamento, alle querce di Mamre. La scrittura sacra onora lo straniero perché è seme del mondo, perché alla specie umana fu chiesto di moltiplicarsi e riempire le facce della terra. E prescrive di amarlo :”E lo amerai come te stesso perché stranieri foste in terra di Egitto “(Levitico/Vaikrà 19,34). E stranieri furono per quaranta anni di deserto condividendo manna in parti uguali, luoghi e tende, passi e fermate e una alleanza stretta con la divinità scesa sul Sinai. Straniera è la specie umana sulla faccia del mondo :”Perché mia è la terra e stranieri e residenti siete voi presso di me” (Levitico/Vaikrà 25,23). Non è un traguardo di perfezione da raggiungere con il raccoglimento, la accettazione di essere uno di passaggio, un forestiero: è la condizione di partenza, la nostra premessa. Senza di questa è facile ubriacarsi, prendersi per padroni del suolo, dell’aria, dell’acqua e del fuoco, spartirsi le quote di un condominio abusivo del mondo.
Conosco bene il senso di quella preposizione, nel cambio di una vocale la dichiarazione di un percorso e delle sue risonanze. A chi parte tocca anche il sentimento del tradimento, la pena dell’abbandono, la fatia di lastricare le proprie strade interiori.
La scrittura sacra insegna quantomeno a rispettare tutti i deboli.
Professarsi cristiano senza praticarne gli insegnamenti è invece il risultato.
Adriana
Dalle tue parole, bevo anche calici amari. Adriana