Capivo che la luce del giorno agiva sul mio corpo e che il tramonto inaugurava altri meccanismi interni.
Capivo che il corpo è uno strumento musicale che cambia gli accordi secondo ritmi regolati in cielo.
Sapevo che gli alberi vanno secondo la luna, la linfa attirata più forte verso l’alto in fase crescente. Sapevo le maree. Ma del corpo non sapevo e non mi accorgevo. I miei orari diurni li avevo regolati sui tempi di lavoro manuale, senza sapere che andavano d’accordo con il mondo.
Paolo, ironico, paziente, mi spiegava i suoi studi e quando gli facevo una domanda pertinente, diceva prima “Bbravo” (ci vogliono due b in caso di gradimento), poi spiegava.
Siccome tutti e due napoletani, Paolo mollava l’ormeggio del suo impeccabile italiano e si allargava nella cadenza nostra, cioè: shpiegava.
Con la sua Emiliana e con Paola si usciva per una pizza, non a Napoli, ma sulla Pacific Highway, California. Là sviluppava i suoi studi sui ritmi circadiani, mentre Emiliana indaga sulla dopamina, tutti e due professori all’Università di Irvine.
Ci scappava fuori il dialetto da tutte le parti, mentre Paola accettava di essere minoranza linguistica.
Che bella capa tieni, guaglio’, gli dicevo quando mi si allargava l’orizzonte del cranio ai suoi racconti di esperimenti, ipotesi, ricerche.
Non me ne ricordo manco uno. Ma allora? In quei momenti sì, capivo, che per me vuol dire immaginare. L’immaginazione, la mia, ha bisogno di inneschi, di scintille.
Mi dai spunti, dicevo. “Mi dispiace, non me ne sono accorto“ fingendo di capire sputi per spunti.
Con lui e con Emiliana ci siamo sbizzarriti di risate. Ci aveva presentato Paola, a casa sua, lei e loro abitavano in due strade vicine. E Paola dopo una delle nostre conversazioni ci ha convinto a scrivere un libro insieme, lui e io. Così è venuto su, dallo scambio di lettere di un anno, il nostro: ”Ti sembra il Caso?”, circa l’incidenza del fortuito nelle nostre vite.
In termini scientifici servirebbe il termine epigenetica, ma è una parola che abbiamo trascurato, fin troppo usata per lui e per me troppo poco eloquente.
Il libro è stata l’occasione d’incontrarci fuori California. A Napoli, a Roma, in Francia, perché il libro si è mosso anche là.
E mo’? Mo’Paolo si fermato, insieme al cuore che senza avvertimento si è sfasciato alle tre di notte ora locale, le dodici da noi. Mo’Paolo è un’urna di cenere. No, non è vero. Paolo per me è tutto il tempo che abbiamo passato insieme.
Un detto spagnolo dice che nessuno ti può togliere i balli che hai ballato. Quelli, le nostre chiacchiere, le camminate lungo l’Oceano, le risate, le bottiglie svuotate non ce le può togliere nessuno, neanche la morte.
Però ce ne promettevamo ancora. È questo ancora che nun ce sta cchiù, non ci sta più.
Capivo che il corpo è uno strumento musicale che cambia gli accordi secondo ritmi regolati in cielo.
Sapevo che gli alberi vanno secondo la luna, la linfa attirata più forte verso l’alto in fase crescente. Sapevo le maree. Ma del corpo non sapevo e non mi accorgevo. I miei orari diurni li avevo regolati sui tempi di lavoro manuale, senza sapere che andavano d’accordo con il mondo.
Paolo, ironico, paziente, mi spiegava i suoi studi e quando gli facevo una domanda pertinente, diceva prima “Bbravo” (ci vogliono due b in caso di gradimento), poi spiegava.
Siccome tutti e due napoletani, Paolo mollava l’ormeggio del suo impeccabile italiano e si allargava nella cadenza nostra, cioè: shpiegava.
Con la sua Emiliana e con Paola si usciva per una pizza, non a Napoli, ma sulla Pacific Highway, California. Là sviluppava i suoi studi sui ritmi circadiani, mentre Emiliana indaga sulla dopamina, tutti e due professori all’Università di Irvine.
Ci scappava fuori il dialetto da tutte le parti, mentre Paola accettava di essere minoranza linguistica.
Che bella capa tieni, guaglio’, gli dicevo quando mi si allargava l’orizzonte del cranio ai suoi racconti di esperimenti, ipotesi, ricerche.
Non me ne ricordo manco uno. Ma allora? In quei momenti sì, capivo, che per me vuol dire immaginare. L’immaginazione, la mia, ha bisogno di inneschi, di scintille.
Mi dai spunti, dicevo. “Mi dispiace, non me ne sono accorto“ fingendo di capire sputi per spunti.
Con lui e con Emiliana ci siamo sbizzarriti di risate. Ci aveva presentato Paola, a casa sua, lei e loro abitavano in due strade vicine. E Paola dopo una delle nostre conversazioni ci ha convinto a scrivere un libro insieme, lui e io. Così è venuto su, dallo scambio di lettere di un anno, il nostro: ”Ti sembra il Caso?”, circa l’incidenza del fortuito nelle nostre vite.
In termini scientifici servirebbe il termine epigenetica, ma è una parola che abbiamo trascurato, fin troppo usata per lui e per me troppo poco eloquente.
Il libro è stata l’occasione d’incontrarci fuori California. A Napoli, a Roma, in Francia, perché il libro si è mosso anche là.
E mo’? Mo’Paolo si fermato, insieme al cuore che senza avvertimento si è sfasciato alle tre di notte ora locale, le dodici da noi. Mo’Paolo è un’urna di cenere. No, non è vero. Paolo per me è tutto il tempo che abbiamo passato insieme.
Un detto spagnolo dice che nessuno ti può togliere i balli che hai ballato. Quelli, le nostre chiacchiere, le camminate lungo l’Oceano, le risate, le bottiglie svuotate non ce le può togliere nessuno, neanche la morte.
Però ce ne promettevamo ancora. È questo ancora che nun ce sta cchiù, non ci sta più.
Ci sta Emiliana.
E’ il Caso di leggere il Vostro libro…
Vi ho visto insieme presentare il vostro libro a Milano, al Museo della scienza e della tecnica. Paolo, scienziato umilissimo, quasi non voleva firmare il libro e voleva che fosse Erri soltanto ad apporre la firma! Un pomeriggio, quello, magnifico e speciale, oggi grande nostalgia e tristezza!
Nessuno ti può’ togliere i balli che hai ballato: spettacolare! E più’ profonda di quel che pare.
E Paolo deve essere stato persona speciale. Ho il privilegio di amiche della Campania. ” Sei quello che sei” mi hanno detto un giorno e spiegato a me, nordica che poco sa di molte cose, che vuol dire. Si addice a Paolo, credo, si addice a te, Erri.
Grazie Erri per questo bel pensiero
Mi è piaciuto il vostro libro fatto insieme. E mi piace questa riflessione. Nessuno ci può togliere i vissuti che portiamo nella memoria. Per questo la memoria è così importante, per questo è importante scriverla per tramandarla e salvarla…