Una preghiera di quand’era domenica e venivo spedito all’oratorio ripeteva una parola buffa per me allora: “Orsù dunque avvocata nostra”. Era rivolta alla ragazza madre di Ieshu/Gesù con richiesta di intercedere presso la volontà divina. Avvocata era una parola buffa. A contrasto del maschile, avvocato, che era invece esercizio di pubblica destrezza e sfacciataggine. Da noi a sud era professione da mercante in fiera e il tribunale era un teatro diurno, affollato di un pubblico ozioso e competente, presente per assistere alle rappresentazioni. Immancabile il testimone oculare falso, noleggiato all’ingresso, che messo alle strette improvvisava da virtuoso.
Di avvocate non ce n’erano. Lei, la vergine madre, era l’unica depositaria del titolo, a difesa delle lacrime.
Chissà da dove è spuntata la vocazione di Alessandra a farsi competente di articoli di legge per stare con chi è bisognoso di tutela. Me la invento bambina che arrossisce in presenza di un sopruso subito da qualcuno sprovvisto di istruzione e di riparo. Avvampa di collera e vergogna la bambina Alessandra, e così in lei spicca e si dirama il sistema nervoso spontaneo che infiamma i capillari dello sdegno. L’educazione sentimentale riguarda principalmente la formazione della compassione, della collera, della vergogna in età precoce, quella dell’impotenza a reagire. Accendono la miccia di una risposta, che arde sotto pelle fino all’età di ragione.
Così è successo anche alla mia infanzia napoletana e poi è successo a un’intera generazione negli anni ’70. Il nome di Alessandra l’ho imparato dopo le sciagurate vigliaccherie di Stato, consumate a Genova di luglio, una dozzina di anni fa. Da allora ho seguito il suo nome affiorato nei casi e nei posti dove i diritti erano presi a calci.
In una storia scritta qualche anno fa, ricordavo un’estate di passaggio tra infanzia e adolescenza, un’estate di avvento della parola giustizia. Siccome scrivo storie personali, prese da fatti accaduti intorno, mi è stato chiesto se avevo rivisto, saputo qualcosa della ragazzina che seppe inventarsi una sentenza di pareggio, a saldo di una prepotenza. Non l’ho incontrata più, però la intravedo in Alessandra. Lei è il seguito naturale di quella ragazzina del nord che su una spiaggia dell’isola d’Ischia intervenne a difesa e a riparazione.
Alessandra scrive i capitoli dei suoi incontri con il più impellente dei bisogni umani, quello di giustizia. Più di fame, di sete, il prototipo della nostra specie animale si appaga di equità oppure si distrugge in sua mancanza. Alessandra scrive il suo atto di presenza a fianco di casi arrivati fino a lei con la forza del grido. E lei mette il suo studio e la sua educazione sentimentale a servizio della necessità. Fa nei suoi paraggi quello che un medico di Emergency fa in un ospedale afgano. Le nostre strade brulicano di feriti, offesi, mutilati di voce e di diritti. Le prigioni, i centri di espulsione sono lazzaretti dove si ammucchiano gli appestati civili.
Un falco addomesticato in spalla a un ragazzo africano, sbattuto da onde e stretto da sbarre, viene sequestrato e scompare nell’ approdo sull’ isola del nord, che noi chiamiamo sud. Invece è precisamente il centro della storia moderna, attrito di due punti cardinali, capo delle tempeste di due oceani dispari di livello. Questa è una delle storie di Alessandra, uno dei suoi fascicoli aperti che sono fagotti di vita chiusa in spalla, esposta alle intemperie, e la peggiore è quella esercitata da qualche autorità. Non si cura di essere scrittrice Alessandra, di arredare finzioni. Lei si concentra sull’indispensabile dei fatti, nel raccolto di voci che non ha dovuto registrare perché le restassero impresse.
Alessandra accompagna per mano il lettore, dove lui non può entrare senza mandato, senza tesserino. Lei passa oltre i fili spinati e scrivendo li rompe, perché le reclusioni, tutte quante, sono sigillate dal silenzio e scardinate dalla parola. Le succede di scippare qualche volta dalla stiva dei forzati qualche vita sgomenta, in tempo qualche volta prima che si arrenda e si butti via da se stessa. Alessandra inventa l’eccezione. In margine alle storie dove lei mi ha accompagnato, aggiungo queste righe per restare al suo fianco
Prefazione di Erri De Luca al libro “La vita ti sia lieve – Storie di migranti e altri esclusi” di Alessandra Ballerini, editore Melampo, 2013