Mi viene chiesto un pensiero sul verbo tornare.
Escludo il passato, per mancanza di nostalgia.
Non posso rimettermi alla tavola dove sedevamo tutti.
La ricordo ma non ci ritorno, i posti sono vuoti.
Restano i luoghi: dove posso tornare?
Dopo gli anni della guerra di Bosnia sono riandato a Mostar. Ero insieme ad altri volontari invitati alla inaugurazione dello Stari Most ricostruito, il vecchio ponte, l’ultimo abbattuto.
Risaliva al 1500, a semicerchio, in pietra bianca. Era l’orgoglio della città, impresso sulle cartoline.
Dal suo vertice la gioventù dava prova di spericolatezza tuffandosi nell’acqua fredda e veloce della Neretva.
Noi di allora lo attraversavamo su una passerella che lo sostituiva.
Arrivai così di nuovo a Mostar. Non era la città raggiunta dai nostri furgoni lungo i tornanti esposti al casaccio dei tiri.
Non era la città dei ponti sgarrettati, butterata dal vaiolo delle granate.
Era nella convalescenza del primo dopoguerra. Lungo le rive della Neretva erano aperti i bar, tavoli e sedie, le persone sedute a prendere il sole e a dimenticare.
A Mostar ho saputo che non ci sono luoghi cui tornare.
Dove allora?
Solo nel posto in cui mi trovo adesso, a casa dopo un viaggio, in rientro da uno spostamento.
Posso tornare solo dove c’è una porta da aprire con la chiave che ho in tasca.
Tornare… Penso a coloro che non hanno una chiave in tasca per aprire la porta dove possono tornare…