Finita la stagione dei bagni cammino sulle spiagge sgomberate, dove sono già passati gli ultimi setacciatori con i loro congegni rivelatori di metalli.
Mi fermo vicino a qualche tronco arenato, senza radici, strappate da qualche terreno ripido. La burrasca lo ha trascinato per la chioma insieme ai frutti e ai nidi. L’albero viaggia quando muore. Un vento, un fiume l’ha portato a mare, lisciandogli la buccia a osso di seppia. Viaggia senza timone, vela, com’è scritto del barcone a cesto di Noè, che va sopra il diluvio senza governo di navigazione. Non era marinaio il suo armatore.
Mi siedo sul tronco piallato dalle onde. Le imbarcazioni lo hanno evitato, i pesci si sono messi sotto la sua ombra in qualche bonaccia d’agosto, i naufraghi lo hanno desiderato fino alla supplica.
Un tronco d’albergo naviga per destino senza destinazione. La lingua spagnola contiene nel solo vocabolo “destino” sia l’inesorabile sorte che la semplice stazione di un arrivo. In un aeroporto si legge la scritta di un volo: destino Madrid.
Vanno così sul mare i passeggeri delle barche gremite. Viaggiano secondo la parola spagnola, col destino che coincide con l’arrivo in una stazione di sbarco. Più spesso non è un porto, ma una nave di passaggio che carica i superstiti e conteggia i dispersi.
Il Mediterraneo, l’unico del mondo a essere chiamato Mare Nostro, è diventato anche Mare Loro. Non appartiene più solo a chi ci è nato accanto, ma pure a chi, nato lontano, ci è morto dentro. È Mare Loro perché i suoi pesci e il plancton sono nutriti dalle loro vite. Non hanno navigato su barche, ma su bare a motore.
Cammino sulle spiagge di autunno. C’è il sole, manca il vento, il mare somiglia a un sudario.
Erri De Luca
Amo il mare come una lettrice di romanzi gialli ama uno scrittore di romanzi rosa da cui è riamata. Ogni anno è in un progetto di vacanza ipotetica di 15 giorni, non di fila perché, se riuscissi a farne almeno 7, vorrebbe dire aver fatto esattamente quello che avevo sperato che accadesse fuori dalla carta.
Dunque amo il mare, se è lungo il mio percorso di vita e nei piani stagionali. Ma questa estate è cominciata con un litigio : vento a squarciagola, ombrelloni a distanza di sicurezza di 99 centimetri dall’acqua e altri centimetri regalati all’espansività delle onde e di tanta spazzatura, un botta e risposta tra il mare e l’uomo. Emittente questo, il suo eco amplificato l’altro. Il mio mare. Un tronco arenato contro tanti paletti che sforano un limite, una scarpetta rosa contro stoviglie di plastica e tante bottiglie su un pezzetto di spiaggia libera tra un lido a pagamento e l’altro, indubbiamente troppo puliti. Non c’è partita… E per fortuna è lunedì.
Ci prendiamo in giro, io e il mare. Io sono più vecchia di un anno e ancora con la testa in quarantena, mentre lui è meno “umanizzato”, e più incazzato dall’ultima volta che l’ho letto, quando non sapevo ancora che il mondo sarebbe passato per il purgatorio verso non si sa quale tipo di paradiso.
Di solito aspetto il secondo appuntamento per lasciarmi invadere dalle onde e strapparmi di dosso pensieri altri e alibi. Oggi sono tornata a casa e ce le avevo già fin sopra i capelli. E poi mi sono inabissata qui. Tanto non c’è profondità di sicurezza.
L’ho letto più volte: fascinoso, intenso, sacro.
sinceramente quel-sacro- mi pare fuori
luogo….aggettivo da usare con parsimonia,sempre.
sacro-estrema cautela.
sacro aggettivo inquietantep
da rileggere-il libro del riso e dell’oblio-
…”and I think to myself what a wonderfull world!”
preferisco il tuo bell’italiano alla portata di tutti,lo so si fa fatica…valeria , ma forse
ne vale la pena,in qualche caso
un abbraccio.
Oh, grazie. Lo sforzo, che si fa per riuscire a discernere, va sempre incoraggiato.
in questa spiaggia,che possiamo portare
con noi in qualsiasi posto,noi fortunati,
sento come un refolo,un lieve soffio,
come un respiro che mi spinge in avanti
grazie Erri e grazie a tutti
Il riferimento al “mare nostrum”,,, mi ha ricordato questa canzone…: https://www.youtube.com/watch?v=RdVYUKCwhJE…..
Grazie! Non la conoscevo. Stupenda!
bello bello, grazie… incuriosita ho fatto una micro ricerca su youtube mettendo “mare nostrum”… e ho trovato questo gioiello di concerto presentato come “un dialogo tra musiche ottomane, arabo-andaluse, sefardite e armene del bacino mediterraneo”.
Ho dimenticato di allegare il LINK del concerto: https://www.youtube.com/watch?v=RRXEO-v-CJ8
Cammino sulle spiagge di autunno. C’è il sole, manca il vento, il mare somiglia a un sudario.
Senza offesa, lei è giovane, se ne faccia una scorta, più che può. Le carte sono importanti, sono tutto. Per farglielo vedere, per sapere chi sei. Guardi, senza offesa, ne ho quattro borse, ci dormo sopra. Sapete com’è, nella confusione tutti ti fregano le carte, lasci lì il tuo atto di nascita … non lo trovi più. Sei rovinato. E’ difficile rifarsi una vita, senza essere nato. E intanto, da qualche parte, c’è qualcuno che se lo gode il tuo atto di nascita. Ingordi, affamati di identità.
Io non mi posso lamentare guardi, quello che basta. Ma ce n’è anche chi ce ne ha più di me. Parlavo con uno, così, in confidenza, senza competizione, a un certo punto mi fa, lei non sa chi sono io. Era tutti…. che invidia.
Mi creda, non bastano mai. E’ colpa della pace, troppo ordine. In guerra, c’era un gran casino potevi sgattaiolare. In pace, non si sta mai in pace. In pace non basta esistere, lo devi dimostrare, ci vogliono le prove. Cogito ergo sum, carte, altro che Cartesio.
E poi manca sempre qualcosa, ha voglia ad essere prudente. Lei non mi crederà, ma quando vedo la polizia, il tremore. Eppure c’ho tutto, credo. Tutto dentro le borse, c’ho tutto ma fischio, fischietto sempre quando vedo la polizia, e gli butto lì quattro borse, indifferente. Tre giorni, tre giorni a Ventimiglia. Si capisce, gli danno un’occhiata, ma ce n’è anche di buoni, di padri di famiglia, chiudono un occhio.
E così io posso essere Lorenzi, perché io sono Lorenzi. O no? Non importa, non si saprà mai. L’importante è che ce le ho tutte le carte, l’importante è che sono in regola, altrimenti che fai? La gente si rassomiglia, si rassomiglia troppo, mi creda. Uno, ammazza un ragazzo vicino a Roma, si mette un paio di occhiali, va in Svizzera, “Sono Cary Grant” …e se ha le carte, passa.
Scusi, ma lei è proprio lei? Ne ho visti di tipi come lei, senza offesa. Ero così anch’io. Non è rimasto più niente dell’individuo, niente. Finito, sgretolato. Vuole un certificato? Scusi la rima. Ero un poeta io. Lo prenda, lo prenda. Quelli che resistono sono i peggiori, una valanga di spostati, come all’uscita dei conservatori. Lo prenda, prima che sia troppo tardi. Anch’io ero come lei, ero un poeta, ma ho smesso. E dopo un po’ tutti quelli che smettono si rassomigliano. Sul terreno della sconfitta, mi creda, non c’è nessuna differenza tra un filosofo che fa il barista, un ladro in disuso o un rivoluzionario smesso, senza offesa. Tra una decina d’anni saremo tutti uguali certo, tutti uguali nei fallimenti. Ecco, questa sì che è una bella aggregazione, vengo anch’io, senza offesa.
Le persone si uniscono, per un autobus che non hanno preso.
Cammino sulle spiagge di autunno. C’è il sole, manca il vento, il mare somiglia a un sudario.
Amedeo …che meraviglia..
oh mercy
where teardrops fall.
per quando è tardi
S’il vous plaît Nina
Thanks but it’s not may flour sack
Per la verità.
Interpreto la resistenza, questa con la “r ” minuscola, come prove tecniche di distanziamento dell’autore dai personaggi e dei personaggi dagli attori e, infine, di questi tutti da un coinvolgimento emotivo dalla realtà. Ma sbaglierei se azzardassi che sei pezzi sono sempre in cerca di rivincita per un autobus che hanno perso. E’ che dobbiamo attraversare sempre qualcosa per venire a badare noi stessi, che siamo del mondo e che quindi non possiamo a noi trattenerci. Pezzi rimossi che non riescono a combaciare. I trucioli e la lima. Di qua e di là il capolavoro. In mezzo c’è il silenzioso lavoro di scavamento del mare.
Valeria,
É che dobbiamo
Attraversare sempre qualcosa
Per venire a badare noi stessi,
Che siamo del mondo
E che quindi non possiamo
A noi trattenerci
amedeo almeno posso fumare quando ti penso?o ti leggo?vado poi più veloce
oh grazie….
-io non penso a nulla-disse il cacciatore
sorridendo,e per mitigare l’ironia pose la mano sul ginocchio del sindaco.Son qui
altro non so,altro non posso fare.La mia
barca è senza timone,naviga col vento che soffia laggiù nelle infime regioni della morte-
Non ora non qui,c’è ancora molto da fare.
in attesa di moderazione
“L’albero viaggia quando muore…”.
sì destino-basta spostare un accento
e cambia interamente il senso di una parola…
così pensava Pinocchio un po’ triste ,
po’allegro mentre ,con vestiti nuovi,
e nuove scarpe,sorseggiava del buon
porto rosso in un vecchio bar in riva
al mare.Poi una musica ,all’improvviso,
lo prese come alle spalle,lo avvolse
come una coperta.Certo,pensò ,quel
vecchio motivo blues…quanti ricordi
quante avventure….chissà Lucignolo
la fatina Geppetto….e una lacrima
gli scese sul viso..quasi un secolo
fa,poi si alzò,pagò il conto,aveva
imparato anche il due più due,e con
passo deciso si diresse verso
l’uscita.Il cielo era di un blu intenso.
E ancora ci si chiede: ma che ne sai della biritmia simbolica se non hai fatto il piano bar?
in ogni caso non mi sento e nemmeno sono davanti alla porta
in attesa….il mondo è pieno
di porte portoni piani bar e tanto altro
ascoltando BOb Dylan
what good am i?
Destino, destinazione. Perché per noi italiani sono due parole? Perché al destino non ci si sottrae mentre la destinazione ci illudiamo di poterla programmare.
parole definitive
… Una ninfa persequitata trasformata dalla Pietà. Uno Stradivari in quel tronco, ma dal tintinnio di un cembalo e la voce ronzante di un didgeridoo.
Il percorso è accidentato, roccioso e poi umido: non c’è modo di far coincidere visioni così distanti se non come sequenze che proiettano una prospettiva. Il mare. Dilata il senso – ora! – il mare: quel guardarsi dal di fuori, accoglienza, atterraggio…
Ho tirato a riva le sorti di Pinocchio, come si tira la linea per fare di conto. Ma poi lucignolo si è seduto e finalmente ha pianto il suo amico. Come se da sempre conoscesse la sicurezza di quel contatto.
che poi a pensarci bene la prosa non è che la poesia della vita raccontata con il pane quotidiano,quando c’è.quando i conti non tornano,quando manca il vento……
c’è pure il pensiero poetante che sa guardare lontano,che ci fa dire un sì alla vita,
al mare d’inverno,agli appennini pensosi,alla neve immacolata e a tante altre cose.
difficile abbracciare tutto con un unico abbraccio.
Più che in estate è in inverno che mi manca tanto il mare. In estate… è logico, il mare è rinfresco, voglia del venticello che porta refrigerio e fa diventar ghiaccio le perle di sudore addosso. Fa bene. Però è d’inverno che il suo sale odora… Ah! Per le donne che soffrono di ipotiroidismo come me, sarebbe la manna. Ma vivo a Torino… lo chiamano ipotiroidismo, io dico che è nostalgia di sangue. Pure il corpo dopo un po’ si ribella alla distanza del mare, a quella vista di verdeblu, e guarda caso sono le donne dell’entroterra a soffrire di più di questa carenza affettiva… noi che siamo nate tutte per essere le vostre sirene abbiamo globuli che scalciano alla mancanza del fratello salmastro.
Guarda come siamo diversi pure davanti al mare Erri…Per voi uomini il mare è una passeggiata riflessiva, per noi donne un aerosol di salute, ed è incontro a riabbracciare la nostra natura. Che poi, come spesso ricordi, questa comporti anche il ricordo di chi ci è rimasto immerso senza vita tentando ti toccar terra, è obbligo comune. Quanti se n’è presi… Il sale del mare non riesce a disinfettare proprio tutto. Resta nel nostro mare di mezzo il sale di lacrime che non evaporano mai, e ca ‘o fann muntà cchiù assaje. Uno tsunami silenzioso che non arriva mai a riva. Salutami il mare. Mi manca.
Tvb, tuo tappino. <3
tappino torinese, “sal”ve,…
l’uomo è come il sale e noi donne siamo l’acqua. Insieme generiamo la vita.
Ho letto con piacere De Luca e poi queste riflessioni al femminile… mi hanno generato il desiderio del mare d’inverno.
Vivo lontano pure io,… ma nel nostro sangue è sempre vigile 🙂
Il mare in inverno a me incute tristezza, se ci capito, e non lo vado a cercare.
Amo il sole, la luce, le giornate lunghe. Amo la montagna estiva, la amavo quando camminavo, la amo ora che la contemplo.
Conto i giorni che mi separano dal solstizio d’inverno che per me è inizio di estate, quando lentamente il tempo della luce si riprende la sua rivincita su quello del buio.
tutti i nodi vengono al pettine
come quando fuori piove
mia figlia perplessa chiedeva
a che ora finiscono le nove