Vassili Grossman scrittore in Russo del 1900 entrando in una città sconvolta dalla guerra pensava a quanto lavoro umano l’aveva edificata.
Dalle macerie ricostruiva con l’immaginazione i cantieri e i mestieri impegnati a realizzarla.
La specie umana al suo meglio è artigiana, operaia, non artista.
Al suo peggio è impresaria di distruzioni.
Sono entrato in città sventrate dai bombardamenti. In una ci sono pure nato.
Non mi è venuto né mi viene in mente il pensiero di Grossman sull’operosità calpestata. Ho il pregiudizio di credere che ogni edificio sia destinato al crollo, per effetto di guerra, terremoto o usura.
In una città demolita dalle artiglierie di terra e aria riconosco la macchina del tempo che disfa, disintegra, a turno, oppure a braccetto, con quella che restaura, innalza, rinnova.
Nelle rovine delle guerre vedo le forze che le spazzeranno per costruirci sopra.
Sulle fosse comuni vedo i fiori piantati dalla generazione seguente.
Sulle ceneri degli incendi ricomincia il bosco.
Sulle navi affondate s’impiantano i coralli.
Ma sulle cicatrici dei dolori non vedo ricrescere niente.
In parte è vero. Alcune cicatrici sono talmente brutte da dover persino essere rimosse da piccoli interventi di chirurgia estetica. La cicatrice è segno di un dolore, di una sofferenza, pero’ in qualche modo superata … sulla cicatrice rinasce dunque spesso una nuova speranza.
Erri sei un grande … un abbraccio da Pier Luigi.