Il commediografo latino Terenzio fa dire a un suo personaggio la molto ripetuta frase: ”Nihil humani a me alienum puto”, non considero estraneo a me niente di ciò che è umano.
Non è così per me. Molti comportamenti umani mi sono estranei perché incomprensibili.
L’elenco sarebbe lungo e incompleto.
Il carattere di una persona si precisa attraverso obiezioni, opposizioni, distanze. Ciò che non condivido determina chi sono. Mi è utile l’antitesi con l’altrui, più che la prossimità.
Più riconosco l’alienum meglio intendo i miei limiti.
Con la letteratura che leggo mi capita invece di ammirare ciò che mi è estraneo.
Sto leggendo nuove pagine di Varlan Shalamov, detenuto per venti anni in Siberia ai lavori forzati.
Era già un promettente scrittore quando fu arrestato nel 1937.
Scrive di aver subìto l’alternativa estrema tra la sua poesia e la sua vita.
Scrive che il suo attaccamento alla vita ha prevalso ogni volta.
Non ho neanche alla lontana la competenza acquisita con la sua sopravvivenza a oltranza in condizioni di freddo, fame, percosse.
Ho imparato varie antitesi alla parola vita, senza immaginare che una di queste potesse essere la poesia.
Il 1900 ha inventato questa alternativa e Shalamov l’ha sperimentata.
Identificarsi o non identificarsi con l’alienum è attitudine che sottende un’ispirazione ed il modo in cui si manifesta la sua forma, che sia una metafora o un’allegoria…
Per esempio: “Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l’immenso.”(Erri De Luca)