“Camminavo un pomeriggio di agosto lungo la sponda di un fiume, pensando a quello che penso sempre quando cammino lungo la sponda di un fiume in agosto. Camminando penso: siamo in agosto e io sto camminando lungo la sponda di un fiume”.
La frase è dello scrittore gallese Dylan Thomas, la ritrovo proprio in un giorno di mezzo agosto di ritorno da una passeggiata su una spiaggia libera. Di solito al mattino presto è vuota, con qualche pescatore che pianta le sue canne nella sabbia e aspetta. In tante passeggiate non mi è capitato di assistere a una cattura.
Quella mattina ho trovato invece un accampamento. Circa un centinaio di tende di famiglie oppure di ragazzi mezzo addormentati. Mi sono ricordato che era ferragosto e c’è l’usanza di campeggiare accanto al mare accendendo qualche fuoco.
Le tende erano vicine alla strada, il resto dello spiaggione era vuoto.
Ho camminato per il paio d’ore che mi assegno, coincidendo col pensiero di Dylan Thomas circa la sua passeggiata. Pensavo a quello che stavo facendo, a passi che lasciavano l’impronta cancellabile, al sole sorgente alle spalle che mandava in avanti la mia ombra lunga.
Dove stavo andando, per quale motivo, in cerca di cosa: queste domande pratiche o solenni erano fuori tempo e luogo.
Ho pensato che non pensavo a nient’altro. Mi succede semplicemente di avviarmi senza ricordi, progetti, attento solo ai passi scalzi sopra i frantumi di conchiglie, chiuso dentro un tempo presente, come un messaggio dentro una bottiglia.
Dopo, con le righe di un quaderno poggiato sulle gambe, posso almanaccare sui passi vagabondi. Percorrono una distanza senza neanche il pretesto di una salita verso una cima o con l’intento di far passeggiare un cane. A loro, e a me con loro, è sufficiente andare.
Al ritorno ho traversato di nuovo l’accampamento. Cominciava a smontarsi, con l’aria affaticata di una fiera in chiusura.
Agosto è un tempo di sabbia che scorre dentro una clessidra, senza il ticchettio delle lancette.
La frase è dello scrittore gallese Dylan Thomas, la ritrovo proprio in un giorno di mezzo agosto di ritorno da una passeggiata su una spiaggia libera. Di solito al mattino presto è vuota, con qualche pescatore che pianta le sue canne nella sabbia e aspetta. In tante passeggiate non mi è capitato di assistere a una cattura.
Quella mattina ho trovato invece un accampamento. Circa un centinaio di tende di famiglie oppure di ragazzi mezzo addormentati. Mi sono ricordato che era ferragosto e c’è l’usanza di campeggiare accanto al mare accendendo qualche fuoco.
Le tende erano vicine alla strada, il resto dello spiaggione era vuoto.
Ho camminato per il paio d’ore che mi assegno, coincidendo col pensiero di Dylan Thomas circa la sua passeggiata. Pensavo a quello che stavo facendo, a passi che lasciavano l’impronta cancellabile, al sole sorgente alle spalle che mandava in avanti la mia ombra lunga.
Dove stavo andando, per quale motivo, in cerca di cosa: queste domande pratiche o solenni erano fuori tempo e luogo.
Ho pensato che non pensavo a nient’altro. Mi succede semplicemente di avviarmi senza ricordi, progetti, attento solo ai passi scalzi sopra i frantumi di conchiglie, chiuso dentro un tempo presente, come un messaggio dentro una bottiglia.
Dopo, con le righe di un quaderno poggiato sulle gambe, posso almanaccare sui passi vagabondi. Percorrono una distanza senza neanche il pretesto di una salita verso una cima o con l’intento di far passeggiare un cane. A loro, e a me con loro, è sufficiente andare.
Al ritorno ho traversato di nuovo l’accampamento. Cominciava a smontarsi, con l’aria affaticata di una fiera in chiusura.
Agosto è un tempo di sabbia che scorre dentro una clessidra, senza il ticchettio delle lancette.
Ognuno ha il proprio Groundhog day. È un messaggio che viene da dentro, ri-leggasi “necessità che venga accolto”, come ricominciare da capo non va sempre colto con l’accezione di coazione a ripetere.
Da molti anni cerco di camminare nella consapevolezza di camminare. Non è facile come sembra, ci si deve allenare fino a quando ogni passo diventa leggero e pacificante.
Le domande non arrivano più, sicché non c’è nemmeno bisogno di risposte. Anche il nostro guscio di tartarughe può essere abbandonato. Per muoverci senza ingombri. Per affidarci al flusso di cui siamo parte.
Grazie di cuore per condividere
Ho letto il Suo scritto d’un fiato e mi è piaciuto moltidsimo , l’ho riletto e mi sono soffermata sulle domande che Lei si era posto, pratiche e solenni, e penso che arrivati alla nostra età ( sono di due mesi più “grande” di Lei, queste domande dovrebbero essere presenti e costanti: che cosa stiamo facendo, dove stiamo andando?
Mi permetto di confessarLe che una scienza tutta mia che non so con quali meccanismi operi, mi porta a delle conclusioni a cui credo ciecamente – così come i loro calcoli matematici portano gli scienziati a credere ciecamente e parlare con sicurezza di universi paralleli, energia di buchi neri etc.
Questa mia scienza mi dice che ci stiamo preparando ad andare in un “altrove” dove non potremo chiuderci in un eremo, non potremo abbandonarci in un ‘isola deserta, non potremo alzare muri divisori, non potremo nasconderci da nessuna parte.
In questo ” altrove” il nostro mondo, gli affini, gli amici, i maestri, tutti quelli che hanno trovato spazio e hanno dato slancio di affetto al nostro cuore e che vorremo avere vicino in modo permanente, saranno dentro di noi, nella casa della nostra psiche che porteremo appresso come si porta la tartaruga la sua casa robusta.
Penso che ci stiamo preparando proprio questo, a portare altrove un nostro mondo, così come vorremo che fosse.
Ringrazio di cuore
En lisant ces mots de Erri, je me disait que je lisais des mots de Erri … je savais que nous étions en août et je cheminait sur ces mots en pensant que je ne pensait à rien d’autre. Une respiration hors du temps. Merci
En lisant ces mots de Erri, je me disais que je lisais des mots de Erri … je savais que nous étions en août et je cheminais sur ces mots en pensant que je ne pensais à rien d’autre. Une respiration hors du temps. Merci