Quando sono nato erano già lì, le navi da guerra grigiochiare con le scritte bianche. La portaerei stava piantata in mezzo al golfo come una pialla sul banco del falegname, intorno era all’ancora il resto dell’intera squadra navale della Sesta Flotta degli Stati Uniti. Era il dopoguerra, che aveva scelto Napoli come capitale militare del Mediterraneo.
Altre simili flotte e presenze succedevano a Manila nelle Filippine, a Saigon in Vietnam. Condividevamo con quei porti lo sbarco di migliaia di soldati in libera uscita, scesi a sfogare astinenza e malincuore. Dei reati che commettevano in città ne rispondevano alla magistratura militare USA: Napoli era in Italia per convenzione geografica, di fatto era una colonia americana d’oltremare.
Così nella mia infanzia quelle navi facevano parte del panorama. Le vedevo tra il Vesuvio e Capri quando mi capitava di sgambettare sui viali spelacchiati della Villa Comunale.
Il porto era consegnato all’uso militare. La città aveva eletto all’epoca un sindaco monarchico, armatore navale, che però aveva la sua flotta a Genova. Napoli aveva solo un minuscolo scalo commerciale. Ogni tanto arrivava un transatlantico, il suo ingresso nel golfo faceva l’ effetto di un re che scendeva in giardino. Per un breve passaggio il suo colore, blu, rosso,nocciola, ricopriva il grigio pallido della portaerei. Poi scomparvero i transatlantici e restò la tinta uniforme che ho riconosciuto in quella della nebbia.
Napoli è città spalancata, senza difese naturali. Perciò a prenderne possesso sono venuti tutti gli eserciti, i mercanti, i fuggitivi, i pirati, i regni. Abbiamo ospitato tutte le divinità, poi una sola, la definitiva, ma il sentimento religioso del luogo è dipeso dalla terra più che dal cielo. Dipende dal terrore di abitanti di un suolo sismico e appoggiato a un vulcano catastrofico. Da noi si cerca di ammansire il suolo, più che di placare l’ira dei cieli. Perciò il santo protettore del luogo è specializzato in eruzioni.
Ultimi stranieri a governare il golfo sono stati i militari della Sesta Flotta.
Penultimi furono gli occupanti tedeschi, espulsi dalla più forte insurrezione popolare di una città italiana nel 1900. Le 4 giornate del ’43 sono state il più potente riscatto di libertà popolare della storia italiana. Una qualunque altra città , anche per meno di questo, ci avrebbe fondato una sua seconda data di nascita. Noi a 70 anni tondi da quei giorni non abbiamo stappato neanche una bottiglia per un brindisi.
Oggi siamo in quest’area restituita alla città dal ritiro spontaneo del comando NATO. Il Comune con l’aiuto della Fondazione del Banco di Napoli Assistenza Infanzia ha tenuto a bada le pressioni e le ambizioni speculative interessatissime. Cinquant’anni fa si poteva parlare di “Mani sulla città”, oggi si tratta di grinfie e affondano anche sotto la città. Napoli non vuole privatizzare, non vuole svendere al peggior offerente il suo bene pubblico.
Quando si chiacchiera su qualche giornale del nord di classifiche del buon vivere, Napoli è data ultima. Ma il fatto che da noi l’acqua sia un bene pubblico e altrove no, questo per me è civiltà.Non rientra però nei parametri bugiardini delle classifiche bon ton.
Oggi non ci sono più truppe straniere e l’area nella quale i cittadini mettono piede per la prima volta è simbolo di ritorno alla sovranità sul proprio suolo. Questo comporta anche un ritorno di responsabilità. Non abbiamo scuse, oggi non ci bombardano dal cielo le fortezze volanti che hanno infestato di incubi i sonni della generazione che ci è finita sotto. E se scavando troviamo uno di quei proiettili, è inesploso. Mentre se scaviamo oggi troviamo in piena esplosione i veleni interrati dai nuovi nemici, che sono dotati della nostra stessa carta d’identità. Hanno venduto a mercanti del nord la terra e la salute dei figli.
Oggi gli occupanti hanno abiti civili e non se ne andranno come se ne sono andati tutti gli stranieri, per decorrenza termini di storia. Se ne andranno se su questo luogo sorgerà una gioventù a risanare i guasti di crimini di guerra compiuti in tempo di pace.
Se una gioventù si accollerà il compito di raschiare dalla politica, dalle banche, dai centri di potere pubblico i residui tossici delle complicità.
Se questa gioventù avrà l’impeto del libeccio che sta scuotendo il sud di questi giorni e chiede di essere imitato.
Quest’ area oggi torna alla sovranità del popolo di Napoli. Non è che un simbolo e un inizio. Va ripresa sovranità sulla terra, sull’acqua, sull’aria, sulla salute pubblica, sulla rappresentanza politica , sul futuro di questa nostra madre-terra.