A mia madre piaceva l’opera lirica, ne sapeva canticchiare molte arie. Negli anni ’60 nella casa entrò il primo grammofono e i dischi. Lei ascoltava più spesso “Andrea Chenier”. Ne ricordo ancora l’assolo del tenore: “Come un bel dì di maggio”, forse perché è il mio mese.
Andrea Chenier, poeta francese, morì sulla ghigliottina durante la Rivoluzione Francese. Era giovane, di 31 anni.
“E forse pria che l’ultima mia strofa sia finita
mi annuncerà il carnefice la fine della vita”,
gli faceva dire Luigi Illica, autore del libretto dell’opera.
Andrea Chenier è stato il primo poeta che mi ha dato avviso dell’elevato rischio della sua professione. E poco dopo negli stessi anni conobbi il secondo caso di poeta condannato a morte: Federico Garcia Lorca, fucilato presso Granada nel 1936, il suo corpo sepolto senza nome.
Poi il 1900 ha moltiplicato i poeti in prigione e sul patibolo. La poesia è diventata così voce sospetta, tenuta in conto dalle polizie, trascritta nei loro verbali. Senza volerlo il poeta è diventato avamposto di coscienza, in posizione esposta alle intemperie degli avvenimenti.
La poeta polacca Wislawa Szymborska (1923-2012) ha scritto: “Conosciamo noi stessi solo fin dove siamo stati messi alla prova”. I poeti del 1900 hanno dovuto conoscere se stessi dentro il “fin dove” delle severe prove.
la poesia ha una forza incredibile… La si può negare, osteggiare, deridere… ma è la vera voce per far sentire quella delle coscienze.
Caro Erri, anche a mia madre piaceva l’opera lirica e andare al S. Carlo di Napoli. Una volta l’anno. Usciva dal teatro col liquore in bocca come se avesse appena assaggiato un babà. La poesia voce sospetta…, ma anche liquore e sapore che dura per giorni…
Quanto è vero. Ci possiamo raccontare, e raccontare agli altri, quello che vogliamo su noi stessi ma scopriamo veramente di quale stoffa siamo fatti solo quando siamo messi alla prova.
Credo che la “pericolosità” della poesia risieda nel fatto che essa esperienza dell’illimitatezza, capacità di andare oltre il senso comune e la banalizzazione della vita umana; ecco perché, c’è chi ha tanta paura dei poeti.
Poi, condivido pienamente tutte le riflessioni fin qui fatte.
Ho vissuto come tanti, come tutti, a rincorrere le cose che servivano a completare la vita, cose inutili a volte ma a causa del tempo e dell’età spesso necessarie. Giunto all’età pensionabile, casualmente, mi sono trovato nella natura, quella fatta di spazi enormi, di grandi silenzi e alla fine di grandi distanze da percorrere. Ho sempre raggiunto gli obiettivi con dolore, sofferenza e gioia. Ho voluto conoscere la fame, il sonno, il freddo, la paura, la stanchezza e la sete per sentirmi pronto ogni qualvolta che lo sconforto o la mancanza di fiducia mi prendevano. Nel mio vocabolario la frase “Fin dove” apparteneva ad una sfida o almeno così ho creduto… “Fin quando” mi sono scoperto malato di cancro, forse incurabile, non so, non ero preparato a questo. Il 16 giugno tuttavia partirò da Giardini Naxos, dalla statua di Nike per il mio (forse) ultimo viaggio e so benissimo fin dove, arriverò a Milazzo a costo di trascinarmi, si, ci arriverò! Ora per me è più importante sapere “Fin quando” riuscirò a realizzare i miei pur semplici sogni?
Anche io ho sempre pensato che ci si conosce davvero solo quando siamo messi a dura prova.
E questo mi spaventa, perché molti di noi (io di sicuro) non siamo mai stati messi a dura prova. Mentre credo che ci debba essere anche una certa abitudine a essere messi alla prova. Quando ripenso alla dignità dei miei nonni e di moltissimi della loro generazione, penso che fosse anche dovuta alla consuetudine di affrontare problemi difficili, questioni importanti. E spesso facevano la cosa giusta: perché fin da piccoli erano abituati a fare i conti con la vita e le sue asperità. Non gli veniva evitato tutto come mi sembra accada oggi; Ad alcuni poi non veniva risparmiato proprio niente. L’abitudine alla prova li rendeva comunque più saldi, più pronti, più preparati.
Temo per il futuro delle nuove generazioni a cui stiamo per lasciare un mondo che li metterà seriamente alla prova, ma allo stesso tempo li priviamo di una vera educazione alla fatica, alla disciplina, alla responsabilità. Li stiamo privando della formazione:, quel processo finalizzato a trasformare un bambino in un uomo. Ma se non lo facciamo noi allora dovranno impararlo loro, a caro prezzo, sulla propria pelle, con il rischio di non poter evitare gli errori, anche i più tragici, di chi, certe prove, ha dovuto affrontarle prima.
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita