“Cercavamo la giustizia confondendola con la bellezza”, scrive in una sua pagina dal titolo “I fulmini” il poeta polacco Adam Zagajewski (“Dalla vita degli oggetti”,Adelphi). Perché scrive che confondeva? Giustizia e bellezza non sono la stessa cosa? Nella bellezza riconosco una compiuta giustizia che ripara i torti delle distruzioni. I boschi che crescono sopra le fosse comuni esprimono giustizia attraverso la loro bellezza. A quei corpi annientati fa nulla una tardiva e parziale punizione dei loro assassini. Il riscatto delle vite perdute sta nel diventare foglie,dondolarsi al vento, luccicare alla pioggia, volarsene in autunno.
Ci pensa la bellezza a pareggiare i torti, nel modo più spietato e più soave, ricrescendo sopra la distruzione. Caddero abbattute nei fossati le persone, sorsero dritte in alto le betulle. Sopra le pianure delle stragi, sotto il sole impassibile, la bellezza del mondo si mise all’opera di resurrezione, dallo sterminio alla vita.
Riconosco l’identità di giustizia e bellezza. Se sbaglio, è per difetto: esse sono più della stessa cosa, sono la stessa energia di rinnovamento.
Un assassino ricorda il giorno dell’esecuzione della sua pubblica vendetta. Ricorda la luce che gli schiuse gli occhi alle 7 di un giorno di primavera. Ricorda un frastuono di uccelli sugli alberi del viale, la corsa di un cane che gli venne incontro per scodinzolare. Quel giorno i suoi sensi tesi avvertivano la perfetta indifferenza degli
esseri nudi intorno a lui.
Più vestito del necessario per meglio nascondere l’ arma, andò all’agguato, uccise sulla pubblica via, ritornò sui suoi passi. Di nuovo il chiasso degli uccelli sui rami, lo stagno con i palmipedi goffi sulla riva e leggeri sull’acqua, il sole che gli spremeva gocce dalla fronte, il peso dei vestiti, il desiderio di mettersi nudo in bagno a farsi scrosciare il getto della doccia addosso. Il giorno che fu per sempre un assassino, si accorse di essere un intruso dentro la bellezza e dentro la giustizia. La vendetta era un atto sconosciuto in natura. Non lo sapeva prima. Aveva pensato a molti preparativi in vista di quel giorno. Non aveva immaginato il seguito. C’ era un ostacolo tra lui prima di uccidere e lui dopo. E quando si trovò dall’altra parte, illeso,a grondare d’acqua fino al freddo, si accorse che si era sgretolata la sentenza, la vendetta, la pretesa del pareggio di conti.
Quello che aveva commesso non toglieva una spina dal mondo. Dannava lui senza contropartita. Non aveva tolto un assassino dalla faccia della terra, ne aveva aggiunto un altro.
Di quel giorno gli è restato il ricordo degli esseri nudi incontrati, la loro vita seria e colorata, la distanza infinita tra lui e loro, abitanti dello stesso giorno di primavera.
E quando gli dico che tra la bellezza e la giustizia non c’è differenza, mi guarda, le due sopracciglia increspate, la testa un po’ messa di lato, come un cane che sente un misterioso rumore.
La bellezza è leggere Erri De Luca che apre e commenta un rigo, un verso che si radica nel tutto.