Oltrepassati i boschi e poi i mughi, su un sentiero di montagna si mettono passi in equilibrio accanto a precipizi. Si impara l’attenzione al suolo, ai sassi, alle ghiaie sdrucciole, s’impara a non slittarci sopra. L’attenzione è la prima forma di rispetto per chi s’inoltra in alto. Ci si ferma se si alzano gli occhi al panorama intorno. Ogni passo pretende vigilanza.
Salivo dentro una nuvola fissa, ogni rumore attutito. A monte del sentiero un vecchio maschio di camoscio brucava tra le pietre. Grosso, i sensi intorpiditi dall’età, non si accorgeva di presenze vicine. Poi ha sollevato la testa, con il bel paio di corna ricurve, fiutando più che vedendo dalla mia parte. Si è lentamente allontanato in salita. Era il suo territorio, marcato dal suo sterco. Salendo quel versante attraversavo la sua residenza.
L’alta montagna è libera da proprietà private. Salendo verso i tremila metri non superavo recinti né possedimenti. La cima da raggiungere è confine tra cielo e bordo di superficie, senz’altro divieto di passaggio all’infuori di quello. La montagna non va in concessione a titolari di stabilimenti. È libera e scontrosa di presenze.
Il giorno era piovoso, quasi nessuno in giro. Il vecchio camoscio mi ha ribadito il sentimento di essere un intruso, intrufolato in casa d’altri.
Non entro nei luoghi di culto, evito di fare il passante tra le preghiere. In montagna invece non percepisco il sacro di una chiesa, ma un camoscio, un’aquila, una marmotta mi fanno sapere che sto attraversando la frontiera necessaria e invisibile dei loro spazi. Il loro sguardo marca la distanza e accolgo la loro indifferenza come un lasciapassare.
Cerco di alleggerire i passi, di metterli in sordina. La nuvola sbriciola la sua fitta pioggia e mi aiuta a scomparire. Non trascino l’ombra e il vuoto asseconda il desiderio infantile di essere invisibile.
Certo che l’attenzione ai deliri o alle uscite dal sentiero, da parte di chi si inoltra in alto, non può essere disattesa. Perché i benefici di un bene comune arrivano anche a chi vorrebbe rifiutarli. E questi avrebbe bisogno soprattutto di rispetto, sì. Ma tanto è lo stesso per tutto ciò che di un bene pubblico non fa bene e lì in alto questa consapevolezza arriva in maniera ancora più concreta che su una strada pubblica di cui non si è fatta la manutenzione, o sulla quale ci si separa dalla propria spazzatura in atteggiamento di totale libertà di scelta.
Ecco perché ci vorrebbero più custodi in proporzione al numero di capre. Naturalmente il re dei camosci è unità esclusa da un equilibrio di rapporto efficiente in quanto guasta la media al re minore.
” su un sentiero di montagna si mettono passi in equilibrio accanto a precipizi”… la sacralità della montagna come la sacralità della Vita. Percorrere la vita da consapevoli mi sembra richieda altrettanta attenzione agli slittamenti….. “L’attenzione è la prima forma di rispetto per chi s’inoltra”….ad incontrare l’altro. Grazie Erri per la tua profondità così semplice e grande
Un’escursione onirica. Spero di aver preso il vocabolario giusto, di cui farò uso improprio. Me ne scuso.
“Incapace di intesa con l’altezza”, il re minore “buono per gli uomini” è “il ladro di passaggio”, che vorrebbe essere invisibile come un’ombra dantesca sul limitare del cielo e tutto ciò che appartiene alla sfera terrena. Tuttavia non c’è invidia per la superiorità del re dei camosci: il re minore non inventa “l’espediente di un agguato da lontano” poiché è certo della sua inferiorità.
La distanza è giusto mezzo per la proiezione di sé… in casa altrui, di cui conosce ogni angolo e la mensa…
Ma a questo punto mi manca la chiave onirica. Dunque…
Forse il re dei camosci è cresciuto senza branco. Come il re minore. E non sa trasmettere le sue esperienze; cerca il cibo in alto.
Il re minore saprà, invece, tradurre per l’altro quella costellazione (interiore) : viste da quaggiù quelle stelle mi sembra assomigliano, sì è vero, ad un camoscio, un’aquila… Toh, una marmotta!
E tornammo a riveder le stelle.
Percepisco la sacralità nella silenziosa magnificenza della natura
Rispetto per il creato, rispetto per l’essenza dell’uomo.
ERRI DE LUCA scrive come AHMAD JAMAL suona…
Caro Erri, in questi mesi di reclusione e semi libertà, ho dovuto da studentessa e adulta squattrinata dovermi accontentare della città e trovare spazi liberi per studiare, per respirare. Nessuno svago è concesso se le condizioni economiche non consentono altro… ma i piedi possono restituire un’autonomia di spostamento buona anche senza un soldo in tasca. Così, per l’esame enorme che oggi dovrò sostenere on line (come migliaia di altri studenti) ho cercato i miei parchi, i miei alberi, a cui ho raccontato di tutto e loro senza perdere le foglie mi hanno sopportata. Nella disperazione della ricerca di un po’ di silenzio (visto che siamo tutti in cerca di refrigerio nei parchi cittadini e impossibilitati a far poco di più…) , e driblando bambini, cani, madri, sportivi dell’ultima ora, ho scoperto un parco cittadino insperato : il Parco Leopardi. Sta a fianco del Po, zitto e protetto da un corso che non vuole arresti di alcun tipo, per via dell’assenza di aree di parcheggio o sosta… lì, avendo buoni piedi e buoni polmoni, ci si addentra in un bosco di alberi secolari che devono aver visto in faccia almeno Carlo IV. Eccola la mia montagna cittadina, buona per chi fa vacanze col sole, per chi aspetta il vento per rinfrescarsi, per chi non ha altro che i piedi per spostarsi. Eccola la mia biblioteca di silenzi. Qui gli alberi raccontano secoli di Storia per chi la vuole sentire… vorrei portarti un giorno con me a visitarlo, le sue strade in salita non hanno niente da invidiare alle scarpinate che ti piacciono tanto. Un abbraccio tesò, passeggia, che io passeggio con te <3
Colgo una sacralità atavica nelle parole di Erri, quasi parlasse uno sciamano indiano, anche gli indiani d’America avevano un rispetto sacro per la natura, fino a che non è arrivato l’uomo bianco!
La montagna ci rimette al nostro posto,creatura tra le creature,nulla di più. Meraviglioso. Grazie
Stupendo
Magnifico brano…
Che bellezza!