In questo inizio d’estate mi sono messo a leggere le 1500 pagine dei racconti di I.B. Singer. Leggo storie passate di un mondo estinto, che lì dentro si agita ancora. La mia preferenza per loro in parte si spiega con i fantasmi, sparsi in quei racconti come in quelli dell’infanzia napoletana. Gli spettri si assomigliano, così ritrovo storie di famiglia.
Poi trovo le gigantesche prove affrontate da gente del 1900, braccata da avvenimenti epocali, stretti a morsa sulle loro esistenze. Lo spartiacque tra sopravvissuti e rassegnati all’irreparabile, mette in chiaro le forze che stanno a giacimento in ogni individuo. I deboli diventano inespugnabili, i forti cedono, i destini rimescolano il mazzo delle carte.
Non sono storie che hanno ponti con l’attualità, però leggendole intendo il tempo presente come l’accumulo di neve su un pendio. La sua apparente inerzia è provvisoria, attesa di un pretesto per il crollo.
La freccia che punta dritta innanzi, ha l’altra estremità attaccata a un filo teso all’indietro. Il tempo è un arciere che si prepara al tiro.
Durante la lettura, l’estate intorno con le sue cronache mi è arrivata come un mormorio indistinto di cicale. Quando sospendevo, richiudendo il libro, tornavo a intendere la lingua del momento, ma smussata, con effetto di eco, di ondata che rompe lontano dalla riva, un suono di sirena nella nebbia.
Il migliore effetto che mi fanno le storie del passato è quello che ho trovato scritto sulla parete di un gabinetto: ”La realtà è un’illusione provocata da mancanza di alcol”.
Non tutte nei libri si trovano scritte le frasi indimenticabili.
Le cronache di questo tempo presente, messe insieme, procurano effetti allucinatori, disturbi della percezione. La realtà è sotto dose di stupefacenti. Gente di entroterra chiede alle divinità del mare di tenere Ulisse lontano da Itaca, e alle isole di rendersi invisibili. I bambini vengono messi in prigione. I tropici con le loro trombe d’aria visitano gli stabilimenti balneari.
Al termine delle 1500 pagine di Singer circa le baraonde di un secolo fa, mi ritrovo all’ombra di uno scrittore albero, di quelli solitari sopra terreni magri. I tempi differenti si sono rovesciati: quelli di quei fantasmi sono concreti e realistici più di quelli presenti che, invece di scorrere, accumulano sabbia sulla gola strozzata della clessidra.
Rileggendo Gibran, è possibile amare la freccia e l’arco ben saldo per riuscire a vedere il bersaglio sul sentiero dell’infinito. Come l’arciere, diventare un tutt’uno con l’arco e la freccia.
Non scorgere il bersaglio è paura odierna, disturbo della percezione: l’illusione che si possa ripetere una nuova Termopili, sulla gola della clessidra. E pensare che non conta nemmeno una seconda facciata il foglietto delle istruzioni dell’aggeggio che non spetta all’arciere, ma va agitato in caso di eccessivo attrito causato da un aumento di una differenza, manco a nominarla è sempre così, tra il dentro e il fuori. Abbiamo ancora un dentro e un fuori da rileggere con una nuova chiave di lettura.
splendido
E’ bello rifugiarsi all’ombra di un libro d’estate… l’anno scorso feci la tua stessa scelta: rileggere qualcosa che avevo solo mozzicato ai lati negli anni. Scelsi Primo Levi, rilessi 4 delle sue opere più importanti, e chiusa la quarta controcopertina sapevo con più certezza che a Torino mancava una grande scrittura. Mi mancava lui, quello che non gli potevo dire, quello che non potevo ascoltare dalla sua voce, e quanto ci si sente cretini a sapere che stessi anni, stesso luogo ci si è sfiorati per poco. Chissà, magari mi è passato vicino a Porta Palazzo in un sabato dei primi anni ’80, quando ci andavano tutti e con 50.000 lire si faceva una bella spesa. (Sì, è così, ci siamo visti e guardati e per un attimo ci è sembrato di salutarci… voglio pensare che non abbiamo del tutto mancato l’appuntamento). Quest’anno volevo solo dare spazio alle poesie mai lette per mancanza di tempo (hai suggerimenti?) , ma non ho resistito e l’altro giorno al Baloon ho preso al volo per due euro una versione del ’68 di “Ragazzo Negro” di Richard Wright, una rilettura. Ma senti nel 1968 quelli di Mondadori come recensivano in quarta di copertina il libro: “Nel sud infuocato degli Stati uniti, in quella fetta di mondo ove l’odio razziale divide ancora i negri dai bianchi…” ecc… notato niente? Oggi la parola ‘negro’ (che guarda caso appartiene al titolo, ma è coincidenza), è diventata insulto a prescindere. Nel ’68 era ancora normale. Sono belle le storie dei vecchi libri perchè rivelano un ‘noi’ di ieri anche nel linguaggio usato. Se penso alla delicatezza di Primo Levi nell’utilizzo di certe parole negli stessi anni poi, c’è un altro dato: la lingua italiana stava cambiando, stava diventando ‘disinibita’. Eppure resistevano dei galantuomini di penna che non si sono lasciati convincere da certe modernità… Sì, riprendere a leggere di tempi passati può servire. Non c’è più la segregazione degli anni ’20 in America, non c’è più il nazismo; resistono però ai giorni nostri i semi di certe idee coglione, piante gramigne che nascono da molto lontano, e che forse solo leggendo certe storie lasciano scorgere le loro radici secche. Tvb Erri, buone vacanze <3 . Il tuo tappino
Tempo strozzato in percorsi fatui, quello di oggi…
Bellissimo testo. “Il tempo è un arciere che si prepara al tiro.” Scrive Erri De Luca e spiega perché la letteratura è sempre contemporanea, anche quando viene dal passato remoto o più prossimo, ha echi nel presente.
Ho letto e riletto i racconti di Isaac B. S. cosi’ come tenacemente ho letto e riletto i tuoi Erri D. L.
Sì
Ci passo le ore
Anche su poche pagine: le volto e le rivolto e ogni volta tornano a me i segreti che a quelle righe avevo affidato, erano e sono li’ virtuosamente custoditi nel fragile passaggio dal cristallo delle vostre clessidre.
Buona lettura e rilettura a tutti.