Ciao Erri, prosegue il mio viaggio africano.
Ora Sud Africa questa volta, a condividere saperi all’università.
È un paese strano pieno di contraddizioni e paure.
È la paura a dominare il quotidiano, a generare i movimenti e gli spazi.
Architettura dalla paura che condiziona la vita delle persone. È la nuova architettura globalizzata che si sta facendo largo in tutto il mondo, rubando spazio alla cosa pubblica, ai beni comuni.
È spazio fortificato, dentro o fuori.
Scomparsa quell’alea di indeterminatezza che è la soglia di casa con la porta aperta, generoso gesto di accoglienza e di condivisione.
No qui, come in molte parti del mondo, la sogli è stata sostituita dal filo spinato, la porta dal filo elettrificato, la finestra dal videocitofono.
Per spostarsi si entra da una fortificazione all’altra: dalla casa alla macchina. Appena si sale in macchina le porte automaticamente si blindano.
Così ci si sposta da uno spazio blindato all’altro, di fatto senza spostarsi realmente.
Io insisto a muovermi in bicicletta, nello stupore di tutti anche perché la bicicletta è il mezzo dei più poveri. Ma è mezzo democratico che in questo paese ha un valore inestimabile perché unisce e non separa.
Pareggia la segregazione.
raul
oggi dovevo selezionare architetture progetti luoghi che riuscissero ad esprimere, in queste prima comunità e poi territori città villaggi la possibilità di uscire dall’emergenza quell’emergenza così comoda da mantenere … come la paura. Tanto da far ricostruire o consolidare i campi profughi, sfollati, dislocati, campi bombardati e ricostruiti più ampi per dare agio ai carrarmati e non certo alle piazze e tanto che questi progetti vengono premiati. Mi viene in mente Beckett “prima sporcare poi pulire” e un articolo di Olivier Razac sulla Filosofia del filo spinato e tuttavia credo ancora che l’architettura possa tornare alla sua dimensione umanistica a quella capacità di piantare un sasso attorno al quale stare insieme per guardare il cielo. Grazie Raul