Non è il mare a delimitare l’isola, invece è l’isola a mettere un limite al mare. Il piccolo è l’ostacolo contro cui s’infrange il grande. Succede nella geografia e nella storia umana.
La minoranza tenace intralcia il dilagare dell’autorità maggioritaria.
La minuscola Valle di Susa inceppa da decenni l’opera vandalica e superflua. Il regime di forza militare dispiegato da ogni tipo di governi ha ottenuto e ottiene solo di prolungare l’agonia di un cantiere a fondo perduto.
La magistratura locale applica rappresaglie carcerarie. La legge è uguale per tutti, afferma qualche illustre mentre si esercita l’evidente disuguaglianza di trattamento dei cittadini. Si vede nelle prigioni la dimissione dell’uguaglianza, nella composizione sociale della popolazione detenuta. Gli uguali ne stanno fuori.
Non è pagliuzza, è trave nell’occhio del potere Polifemo la resistenza alla sottomissione di una piccola comunità di salde ragioni e rara compattezza. È l’isola che impone un limite al mare. Alla stessa maniera è stata Lampedusa a salvare un poco dell’onore perduto del continente Europa.
Ho amato l’arcipelago dell’infanzia. Dai suoi bordi potevo guardare l’angolo giro dell’orizzonte. Imparavo la vastità, che si rivela da un piccolo punto di vista. Mi dava la vertigine di scomparire, come l’ombra sul mare dopo il tramonto.
Ho riconosciuto più tardi che l’isola interrompeva il mare e le correnti, mettendo un termine alle onde. Ho sentito la forza di un puntino fermo sulla superficie delle acque.
Non è un ragionamento, è la radice emotiva di una convinzione raggiunta. Mi mantiene dentro il punto di vista e di contrasto di ciò che da minuscolo non si lascia sommergere.
Caro Poeta, anch’io sento l’isola come un ostacolo, un’interruzione di equilibrio, e sul bordo dei miei tanti anni devo rassegnarmi all’idea che non sarò mai cittadina di un’isola, nonostante il mio smisurato amore per il mare. Una volta di più lo so dall’anno scorso, quando strappati alla miseria io e la mia famiglia siamo riusciti a fare una piccola vacanza estiva sull’isola d’Elba. L’isola toscana è grande, arrivarci non dà l’impressione di essere piantata in mezzo al Tirreno, i suoi larghi perimetri non lo permettono. Be’, per otto giorni non mi sono resa conto di stare su una zattera allargata, mi distraeva la campagna rigogliosa e le infinite vie di collegamento che davano il senso di terraferma a sufficienza; finché all’ultimo voltando la testa verso la terrazza del campeggio, ho scorto il mare in lontananza dall’altro lato dell’isola. Lì ho realizzato, e ho percepito la sensazione di clausura che probabilmente ha portato alla fine Napoleone, nonostante la bellezza straordinaria dell’isola. Credo bisogna nascere in una certa dimensione per fidarsi del proprio ambiente, per percepirlo come ‘casa’, non tutti siamo in grado di affrontare la tensione di un monte, la visione di una distesa infinita di piantagione (come nel tavoliere delle Puglie), o la sensazione di carcere che un’isola puo’ dare. E forse va bene così, arrivare, apprezzare, ripartire. Io spero che coloro che approdano a Lampedusa o nelle altre isole del Mediterraneo non soffrano troppo di questa reclusione a cinque stelle, e che abbiano l’occasione di riaversi e di decidere di andarsene altrove; è l’unico modo per loro di conservare un buon ricordo di approdo, buono per un momento, ma non per chi non ha altra scelta se non quella. Un abbraccio poeta, tvb <3
Grazie, come sempre, grazie a maggior ragione con questo lampo che illumina ciò’ che sapevo, forse, ma non ne ero consapevole. Grazie per illuminare i punti nascosti e migliori di noi, nel mondo.
La forza della tua parola ci è di particolare conforto. Questa notte a San Didero la prevaricazione di stato ha rinnovato i suoi tentativi di sommergere l’isola, ma la violenza che calpesta la ragione non potrà mai vincere. Un abbraccio gigi