A Napoli al Museo di Archeologia visito statue greche e copie latine. La loro perfezione era una istigazione fisica a imitarle. A forza di averle sotto gli occhi, il corpo si modellava sulle loro forme.
Oggi quelle forme non stanno più addosso a delle statue, ma a dei manichini in vetrina. Il corpo umano moderno è diventato un attaccapanni, il cliente di un guardaroba, catalogato secondo la taglia.
Ricordo il mio primo e ultimo abito completo, giacca e pantaloni di stoffa grigiocenere. Avevo forse sedici anni, un’altezza quasi definitiva. L’abito comunque aveva risvolti per eventuali prolunghe. Soffrii l’imposizione di una divisa. Ero il manichino di me stesso.
In estate avveniva la svestizione, il corpo riprendeva il suo posto all’aria aperta, rivestendosi di sale marino e di melanina. Il corpo ritornava precristiano, ignaro di ultime cene, di carne diventata pane, sangue diventato vino.
Il corpo allenato dal nuoto, tornava periodicamente a imitare la statua, il suo ideale di sobrietà e efficienza. Le estati erano antiche, procurando la perfetta intesa tra il corpo e me stesso.
I lavori operai svolti negli anni seguenti mi hanno fatto misurare le riserve fisiche, i limiti, le estenuazioni. Mi avvicinavo allo svuotamento delle risorse, ai margini delle resistenza e mi accorgevo di non conoscere la macchina del corpo e le sue capacità. Il suo limite non si faceva raggiungere, spostandosi misteriosamente oltre. Giunto allo stremo, ce n’era ancora un resto, di riserva. Riconoscevo nel corpo un’esperienza collaudata da millenni di carestie, siccità, epidemie, lavori giganteschi. Il corpo era un prototipo, io ne ero l’ultimo inquilino.
I nudi precristiani del Museo Archeologico di Napoli mi hanno riportato a quel rapporto tra il mio corpo e il mondo. Necessario, alla lettera, è ciò che non può cessare. Quel luogo vasto e pieno di civiltà ereditata senza merito, è degno di essere definito necessario.
Foto di Archivio Fondazione Erri De Luca
Permetti? Statue e manichini non hanno occhi “spruzzati” d’ infanzia!
Napoli è disseminata di storia e bellezza ‘infizzata’ in ogni forma d’arte, non contenibile in un solo concetto , casomai espansibile in quel ‘necessario’ che hai chiamato in causa e che libera la città da altri tentativi di definizioni che la ingabbierebbero. L’accostamento del tuo corpo napoletano alle statue è insieme poetico e divertente. Ancor di più quando ogni tanto ti sento ribadire il pensiero di esser ‘da Napoli’ e non ‘di Napoli’. Fa sorridere vedere come basti un pezzo della sua storia a rivendicare lei per te un’appartenenza non smussabile in preposizioni grammaticali 😀 . (In pratica, arrenditi: sei ‘di’ … e non ‘da’). Se quelle testimonianze ti han fatto ragionare fino a considerarti erede di quella storia, mi sa che devi rivedere qualche convinzione guagliò, compresa quella sul corpo umano che a confronto della visione antica oggi viene vista in un’ottica prettamente commerciale. Sarà anche così, almeno: è quello che vogliono farci credere. Ma esiste un punto in cui una persona arriva vedere o solo il bel vestito o solo l’uomo che ci sta sotto. Dipende sempre dall’intenzione di chi vede, stabilire il valore di quel che sta guardando. E comunque, se si possiedono sia la sostanza che la presenza il problema si risolve da sé. Tanto vale premiarsi ogni tanto con accessori adeguati alla prestanza fisica, n’est pas?(Ogni riferimento è puramente mirato 😛 ) <3
necessario è l’essenziale…..riconduco da anni il mio “necessario” a questo concetto. Ciao Erri!
bella preghiera laica,infatti
non di solo pane
vive l’uomo