La cavalleria errante si era estinta da secoli. Ma ecco che nel 1600, epoca di grande potenza per la Spagna, per le sue strade gira un anziano signore di provincia che pretende di essere la reincarnazione di quei cavalieri. Come se da noi un pittore si travestisse con panni e pretese di artista del Rinascimento. È questo il fuoritempo da cui muove la storia accalorata di Chisciotte.
«Desocupado lector», così attacca il prologo del libro e già inventa una figura nuova, il destinatario sconosciuto di un romanzo, un recapito senza nome e indirizzo che sta nell’aldilà delle sue stanze, del suo tempo prezioso scegliendo di tenersi compagnia con un libro. «Desocupado» è la premessa, che abbia lasciato ogni altra occupazione e si possa offrire l’ascolto di una storia. Cervantes inaugura il romanzo, un’opera fondata su avvenimenti in serie.
Chisciotte passa da una disavventura all’altra spostandosi in orizzontale dietro a uno zigzag senza progetto, perché per lui conta solo andare, esiste il viaggio e non il traguardo. Si offre volontario al vagabondaggio. È l’ultimo aggiunto, a tempo scaduto, non solo alla schiera dei cavalieri erranti, ma al numero degli ebrei nel deserto che rigirano per quarant’anni il labirinto a cielo aperto delle vastità selvagge. Anche il viaggio di Gesù tra i contemporanei è vagabondaggio, però con una notizia non difficile da intendere: lui è. Chi? Molto più del Messia, che in ebraico è solo un consacrato in olio, lui è figlio di, carne e ossa di. Chisciotte sbatte contro la stessa incredulità. Gli inattuali vengono sempre fraintesi, ricevuti come disturbatori. A differenza di Mosè e Gesù, lui non ha segni da offrire, solo il suo forsennato coraggio, più smisurato di quello di Sansone che si batteva anche lui in inferiorità numerica però con l’assistenza di energia sovrumana.
Chisciotte è scheletrico, denutrito, ardente. La sua febbre visionaria gli fa vedere occasioni per l’impresa dove invece si trascina la vita quotidiana di contrade assolate e polverose. Ma lui è partito per riparare torti, assistere bisognosi, liberare gli oppressi e allora riesce a scorgere i maligni anche sotto le banali apparenze. Per lui la realtà è travestimento. E ci si slancia contro per colpire le soverchianti forze della prepotenza. E finisce atterrato, battuto, a rotoloni ma si rialza, si riassesta dalle ammaccature ed è pronto per l’avventura nuova. Non si lascia abbattere da nessuna sconfitta. È perciò invincibile, titolo che spetta non a chi vince sempre, ma a chi mai si dichiara arreso e dopo ogni batosta si batte di nuovo, ancora e a oltranza.
I nostri tempi sono suggestionati dall’attributo “vincente”, che esalta il vincitor perpetuo, buono da copertina, ma fasullo alla prima prova contraria di una sconfitta.
Allora l’acclamato vincente perde un colpo e il suo smalto si sgretola in angosce, farmaci, droghe. “Vincente” è la moneta falsa d’oggigiorno. Mentre invincibile è Chisciotte che non vince mai e che pure quando ottiene per accidente il dominio di un regno, lo regala al suo scudiero Sancho.
«Il cavaliere dell’eterna giovinezza / seguì verso la cinquantina / la legge che batteva nel suo cuore», così iniziano i versi di una poesia dedicata a Chisciotte dal poeta turco Nazim Hikmet nel secolo scorso. Chisciotte ha una legge di cavalleria incisa sopra il pericardio, membrana che avvolge il cuore senza proteggerlo. Gli articoli del suo codice si diramano da lì ai nervi e fanno di lui l’eroe più pronto di riflessi, più scattante, a molla delle letterature. La sua legge non produce giurisprudenza, tantomeno prudenza. Affronta casi unici, perché nessuna avventura càpita una seconda volta, con il manforte dell’esperienza scorsa. Sono da improvvisare sul posto e sul momento le procedure scritte su carne anziché su carta. Senza saperlo, perché lontano da scritture sacre, Hikmet ricalcava la notizia che la vera legge sta scritta nel cuore e non su pergamena. Questo viene a sapere Geremia, stenografo di voci che su di lui si avventano dall’alto: «Ho dato la mia legge nel loro grembo e sopra il loro cuore la scriverò» (Geremia, 31, 33). Si può credere allora che i profeti siano i cavalieri erranti di Dio, ma sono in verità i suoi ronzinanti, spinti a un galoppo da una voce che è saltata loro sulle spalle e costringe a farsi portare. Se le cose stanno così e i profeti sono cavalli da corsa di un fantino, allora Chisciotte è la più alta caricatura mai tentata, quella di Dio.
Foto di archivio Fondazione Erri De Luca
quinto (?) pensiero su sugli inattuali :
Giorgio Gaber
ma tu Erri ,non stai esagerando?
Chiscotte poi L’idiota e poi altri e altri fino alla fine del mondo sulle tracce
dell’Inimitabile……ognuno a suo modo
provarci e riprovarci sempre ,impossibile e necessario, cadere rialzarsi……..e ancora e ancora
Un pensiero sugli inattuali
Per lui la realtà è travestimento. E ci si slancia contro per colpire le soverchianti forze della prepotenza. Allora Chisciotte è la più alta caricatura mai tentata, quella di Dio.
guardando,con uguale amore,il Chischotte
di Picasso e quello, tremendo,di Chagall
scrittura e storia,insieme comunque
qualcuno ha scritto che Chischotte
è un grande punto interrogativo che
attraversa la Mancha e ,già questo, gli fa onore.
tutti nasciamo Chischotte,alcuni lo rimangono.
spero che nel mondo ve ne siano almeno trentasei
sparsi equamente sui meridiani della terra