Succede a uno scrittore di ricevere la richiesta di sottoscrivere un appello. È pratica abituale ma strana: uno scrittore dovrebbe scrivere la sua condivisione, anziché firmare quella scritta da altri.
Ricevo la richiesta di aderire a un appello per Vincenzo Vecchi, il cui caso giudiziario si svolge in Francia, ma riguarda accuse per fatti accaduti in Italia. Scrivo perciò questa nota in margine all’appello ricevuto.
Riporto questo passaggio: ”…condannato per devastazione e saccheggio, che è una incriminazione collettiva. Per essere formulata è sufficiente che si stabilisca una semplice ‘partecipazione morale’ agli atti di cui è accusato, basta stabilire la sua presenza sulla scena… anche se commessi da altri”.
Vincenzo Vecchi è incriminato per aver partecipato alle giornate di protesta contro il G8 a Genova nel 2001, titolo che da solo vale il riconoscimento di attiva partecipazione civile e il merito di averla testimoniata.
È incriminato per una manifestazione antifascista a Milano nel 2006. Anche questa presenza rientra nel pieno diritto di cittadinanza italiana. Per chi voglia incuriosirsi, potrà stupire che il mandato di cattura europeo per i fatti milanesi era e ed è falso perché Vecchi ha già scontato la relativa condanna.
Su di lui pende per questi reati la richiesta di condanna a dodici anni.
Questa pagina non è un appello, non bussa a qualche portone. È il riassunto di un fatto giudiziario che riguarda la vita di un cittadino italiano in Francia, oggi carpentiere nella città di Rochefort-en-Terre.
La scrivo per adesione alle ragioni della sua difesa. La mia convinzione è che le incriminazioni collettive, per comitive, tradiscono il principio della responsabilità personale. Sono strumenti di giustizia sommaria, colpiscono nel mucchio, alla cieca.
Non conosco Vincenzo Vecchi, so che la sua causa è sostenuta in Francia da molte persone di buona volontà.
Dalla mia condizione di retrovia, con queste parole porto a conoscenza.
Caro Poeta, troppe coincidenze con altre lotte civili che da anni trovano innaturale sbocco alle porte di carceri e tribunali. Vuole, il potere (inteso come personale giudiziario – personale in quanto assunto per certi incarichi- , imprese spesso corrotte e certa politica interessata), usare sempre la misura repressiva su chi alza la testa a proporre un modello di pensiero diverso da quello di derivazione impostata spesso per tutele elitarie… E’ come hai detto tu: invece di ringraziare che c’è gente che cerca di arrivare a una ragione più sana, partecipando anche alle manifestazioni, la consuetudine barbaro-giudiziaria ha sempre lo stesso andi di colpirne uno per educarne cento. Quando mi ricordano che l’Italia è una Repubblica con una Costituzione che garantisce le libertà di manifestazione del libero pensiero mi scappa quasi da ridere, se poi devo vedere amici e compagni messi alla sbarra per aver detto che un’opera (scegli tu quale, orma siamo pieni di NO qualcosa…) è ingiusta e criminale, o il signor Vincenzo ‘qualsiasi’ che dopo vent’anni da una manifestazione debba vedersi recapitare avvisi giudiziari, mentre ai poliziotti che hanno partecipato al massacro alla scuola Diaz ancora non pesa né la coscienza né la spilla al merito delle promozioni conseguite col sangue. Sono con tutti i Vincenzo ‘qualsiasi’, in una retrovia in ottima compagnia. tvb il tuo tappo
Imbarbarimento giuridico e sociale, accanimento giudiziario, come stiamo sperimentando in Valle…Buona fortuna a tutti quelli che conservano un po’ di dignità. gigi