All’epoca delle nostre manifestazioni non ci facevamo fotografare. La polizia schedava ma doveva usare il teleobiettivo. Solo alcuni fotografi fidati potevano documentare da vicino.
Non ho mie fotografie di quegli anni.
Oggi suona preistorico, era invece effetto secondario degli urti del 1900.
Neanche si usavano le generalità, i cognomi, piuttosto i soprannomi.
Poi ci sono stati gli anni dei lavori manuali e neanche di quelli ho fotografie.
Questi precedenti giustificano la mia ritrosia davanti a una messa a fuoco.
Quando sono passato a fare lo scrittore mi sono trovato davanti a dei fotografi. Gli scatti servivano a loro, non li ho.
Poi è arrivata Paola. Da quel momento in poi le fotografie sono diventate nostre, sia di noi due soli, sia con altri.
Paola documenta incontri pubblici e privati e li condivide sui siti della rete per aumentare l’attenzione verso di me.
Attraverso il suo archivio registro il passaggio abrasivo degli anni sulla faccia, che non mi hanno indebolito.
Glielo devo di non indebolirmi; non la prolunga forzosa di un’età scaduta, ma la migliore efficienza di quella che rimane.
Le devo una caterva di premure: la lettura delle prime stesure con i suggerimenti infallibili, la cura verso la casa, per la fondazione da lei fondata, giù fino alla banda di quattro gatti più madre che mi hanno da poco adottato.
Lo scambio tra noi due è disuguale, non posso pareggiarlo, come nelle fotografie: molte di più quelle scattate da lei, di quelle che ho fatto di lei.
(Foto di Paola Porrini Bisson)