In ogni famiglia di Napoli c’erano una volta due specie di narrazioni ricorrenti: il terremoto e i fantasmi. Nessuna generazione è rimasta a corto di queste manifestazioni. Esse sono la botola sulla quale poggiano i sonni delle genti nostre e del Mediterraneo. Del resto è noto che un’apertura dell’inferno stava presso il lago d’Averno, in seguito adibito a stagno per le cozze.
Provengo in linea materna da un gigantesco facchino portuale, il cui figlio fece una fortuna colossale.
Da zero a fondatore di società di rimorchiatori e di impianti frigoriferi navali, analfabeta, imparò soltanto a fare la sua firma. Questa notizia l’ho sentita ripetere con orgoglio dalla figlia, che era mia nonna. La leggenda delle sue ricchezze era rigorosa, ribadita secondo un inventario.
La precisione era istigata dal rimpianto: pezzo a pezzo i figli si erano venduti tutto. Nel volgere di mezza generazione ritornarono poveri. Fu una parabola finanziaria consumata tra le due guerre, che demolì quello che i Buddenbrook smaltirono in un secolo. Sul Tirreno le fortune evaporano più in fretta che sul Baltico.
Dopo la morte del padre, mia nonna partecipò del bottino ereditario con quella spensieratezza fissata dal proverbio locale: i denari dello «nfinfìrinfì» se ne vanno con lo «nfinfìrinfì». Il messaggio misterioso semplicemente annuncia la velocità di fuga dei denari ottenuti facilmente. Gli eredi restarono nell’enorme casa paterna di via Flavio Gioia, vicino al porto. Un giorno, in mezzo alla baldoria degli affari sballati, il bastone del padre defunto cominciò a dare segni d’impazienza. Lo trovavano spostato dal suo luogo, sentivano rumori in una stanza e accorrendo lo scoprivano per terra in mezzo a uno scompiglio di oggetti. Era un bastone assai caro al loro padre, che l’acquistò in uno dei suoi viaggi a Londra. Era di canna di Malacca e aveva un manico di avorio. A quei primi segnali seguirono fatti più espliciti. Il legno passò a vie di fatto su due figli scialacquatori, inseguendoli, bastonandoli e prostrandoli di terrore. Fuggirono tutti a precipizio dalla casa, lasciando la pentola sul fuoco. Inauguravano così un dispositivo di evacuazione rapida che avrebbero applicato più volte in seguito. Ogni famiglia dovrebbe disporre di un piano d’emergenza, un codice «gambeinspalla», com’è costume del sud: anche per non credersi istallati in eterno sul suolo e ricordarsi che si è tutti inquilini soggetti a sfratto, anche i padroni di casa. Tornarono al domicilio con un prete esperto in esorcismi, che affumicò la casa di suffumigi e formule e per buona misura si portò via il bastone irritabile.
Così erano le storie, una materia travolgente che ognuno sapeva svolgere con perizia e istinto, trascinando verso i brividi o il riso secondo l’ora e il piacere. Imparavo così che la letteratura non poteva competere in potenza con i cantastorie e con il loro teatro in spalla. I libri che cominciavo a conoscere avvincevano diversamente, non per il fulmicotone degli avvenimenti. Scoprivo in letteratura l’infinita precisione delle esperienze, mi stupivo della potenza definitiva di una frase. Leggere mi allargava il campo dei sensi, insegnandomi a salvare dal macero i dettagli.
Mi faceva vivere, solo sulla pagina, più in profondità. Poi la Bibbia mi ha insegnato a correggere la vanità dei libri, collocandoli all’altezza del suolo, tra i piedi, le scarpe e le scope. Ma ancora oggi so che nessuna storia scritta potrà mai valere le scosse di fantasmi e terremoti suscitati dalla voce di mia nonna Emma.
Molto divertente, sembra quasi la mia storia con la variante che i miei avi sono molto più indulgenti e vivere il meglio possibile è il nostro credo. Quando ritorno nella mia grande
e decadente casa trovo i miei fantansmi che mi rincorrono perchè secondo loro sono troppo grassa o poco elegante…….Spariscono i babà dò scialone le delizie amalfitane che in questa città buia dove vivo non esistono, che tristezza….Comunque io sfido i mei persecutori e scappo insieme alla mia bambina da Ciro quello è il momento che adoro il mare le delizie e
quell’aria tutta napoletana che mi riempie di gioia, poi col treno rientro in provincia ma i dispettosi mi fanno penare per aprire il portone, ma poi indulgenti mi salutano con un profumo di rose e un sorriso di felicità mi prende e quella casa buia e ormai vuota è il mio castello e il mio tutto e lì non ho paura.