Torna ad affacciarsi la moltitudine in fila sotto il sole per entrare al Salone del libro a Torino. Le postazioni delle case editrici sono gremite, gli appuntamenti degli incontri pubblici lasciano fuori molte persone per limite di capienza.
Vista dalle sue calorose giornate di maggio Torino è la capitale letteraria d’Italia. Il libro di carta e inchiostro conferma la sua durata di florido prodotto. Il suo solido formato, la sua consistenza resta insuperabile. Mentre tutto il sistema di comunicazione e intrattenimento si trasforma, il libro non subisce tempo. Anzi contiene quello del suo lettore, la distanza al primo rigo all’ultimo. All’uscita rientra verso casa con la provvista delle prossime ore in compagnia di una storia.
Il libro approfondisce l’unicità del lettore, le sue scelte di lettura lo rendono insondabile da indagini di mercato. È anarchico, indipendente, autore della propria libreria.
Troisi con una battuta diceva degli scrittori: “Voi siete in tanti a scrivere e io sono da solo a leggere”. Fissava così il rapporto tra il singolo lettore e la massa dei libri, in mezzo alla quale il suo singolo percorso è esclusivamente personale.
Il Salone convoca a Torino gli Stati Generali della lettura e l’Italia sembra una repubblica fondata sui libri. Non lo è, però il fermento, il brulichio di gioventù che fruga tra gli scaffali, scatta una fotografia accanto a un autore, ascolta e pone domande ai relatori: questa manifestazione di ricerca, curiosità, interesse fa del libro e delle sue giornate un presidio di resistenza in tempo di guerra.
Ciao Poeta 🙂 , certo che Torino è strana. Nel giro di un mese, ho visto più gente in coda per il Salone del libro che per tutto l’Eurovision, compresi gli ingressi per i concertini a scrocco al parco del Valentino. Certo non brilliamo più di altre città per buon livello di ‘cultura pro capite’, anche se i dati delle biblioteche ci parlano di una frequentazione in netto aumento rispetto al passato, e questo lascia ben sperare per il futuro. Il boom di quest’anno è senz’altro ascrivibile anche alla voglia partecipazione, dopo i tanti appuntamenti cittadini saltati a causa della pandemia; purtroppo c’è stato un effetto a imbuto ravvisato tanto agli ingressi delle varie sale congressi quanto agli stand delle case editrici. Penso che in parte gli organizzatori se lo aspettassero, per questo hanno aperto altre sale; tuttavia se continua così (e me lo auguro), sarebbe consigliabile fare due Saloni all’anno, uno generico e l’altro a indirizzo scolastico (narrativa, didattica, fumetti, musica, cinema, ecc…), di modo da non avere poi quell’eccessiva calca o ansia da posto prenotato che non ti fa manco gustare il percorso. Quel che ogni anno mi fa specie è la volontà crescente della gente di esserci in un preciso momento del Salone, a rischio pure di mancare l’incontro con l’autore. Quindi non solo il libro, la gente si sceglie pure tra i libri letti qual è l’autore o l’autrice tra i mille proposti che merita la pena certa di una coda in piedi tra le tante sale disponibili, e questo lo trovo veramente un gesto simpatico di accoglienza straordinaria. I piemontesi (maggiori affluenti) del Salone) non saranno tutti figli di Primo Levi o di Fenoglio, ma a quanto pare qualcuno che legge libri di carta (e non) ancora c’è, e si informa pure, specialmente i giovani come hai ricordato tu. Adesso Torino ripiomberà nel solito anonimato, fatto di poche iniziative culturali elitarie ed ego centrate (vedi i Cine Festival, dove non si entra mai se non con un cartellino appeso al collo, e tentare una coda è pure inutile!), o di finti saloni dell’automobile ridotti ormai a esposizioni da parco giochi. E’ una Torino di confine quella che hai visto l’altro giorno, poeta. Da un lato c’è una periferia che si sta reinventando, e che lentamente accoglie residenti di città stufi del suo andazzo semi immobile. Dall’altro c’è una città che non vuol morire per assenza di opportunità, ma che non fa nemmeno molto per riguadagnare una vita degna del suo passato glorioso. Tuttavia, questi appuntamenti fugaci riempiono comunque il cuore a tutti, sono una boccata di ossigeno. Per una settimana si parla solo di libri, di autori, di cultura impegnata e non e perché no: di leggerezza. E Dio solo sa quanto abbiamo bisogno di leggerezza ultimamente. Grazie poeta per aver risposto all’invito della mia città, che un po’ abbraccia e un po’ morde. E grazie anche per i momenti di condivisione, per me un po’ più speciali di altri lettori quest’anno <3 <3 <3 . A presto, kisses, B.
Certi libri sono come la “Madeleine” di Proust, sempre lì nella libreria ad aspettarti per ricordarti sensazioni d’ altri tempi.
Si viva i libri di carta gli scrittori ma anche i lettori che ancora non si abituano a fare le orecchie al Tablet e si sbagliano e si leccano il dito per sfogliare la pagina. Non è cosa
sotto il fardello triste di notizie per fortuna ci salva ancora questo straordinario collante, un composto di curiosità, desiderio di conoscere e viaggiare attraverso parole su carta; in quest’epoca di solitudine fisica prodotta dalla tecnologia il libro è tangibile compagno di avventure e riflessioni, una parte di patrimonio della memoria e della libreria, e più ancora, un confronto diretto delle proprie idee con quelle dell’autore scelto per arricchire lo spirito. Toccare, sfogliare le pagine è percezione tattile insostituibile, lasciare la propria impronta sulla lettura