Il prossimo 16 ottobre al Teatro dell’Opera di Roma si rappresenta la messa in scena e in musica di un mio racconto pubblicato più di venti anni fa: “L’ultimo viaggio di Sindbad”.
Sul programma si legge che è una realizzazione liberamente ispirata (musica di Silvia Colasanti, regìa di Luca Micheletti).
Succede alle parole chiuse in un libro d’essere prese, trasportate fuori all’aperto da una voce, da un corpo, da un allestimento. Sono effetti imprevisti.
Mentre scrivevo quelle pagine non avevo in mente spartiti musicali né recitazioni. Raccontavo uno delle migliaia di viaggi allo sbaraglio sul mare chiamato “Nostrum” in latino.
“Rotta” è un vocabolo a doppio taglio: indica una disfatta come quella italiana a Caporetto, oppure definisce la linea di navigazione di un bastimento.
Nel secolo in corso i due significati coincidono. Masse umane partono dai luoghi di residenza in seguito a sconfitte imposte da guerre, carestie. Si avviano in scomposta rotta prima in terraferma poi su imbarcazioni sovraccariche in rotta verso Europa.
Dalla Pasqua del 1997, dallo speronamento e affondamento di un barcone albanese da parte di unità della Marina Militare Italiana, le migrazioni sono il regolare e principale fenomeno dell’epoca attuale.
Più di venti anni fa sentii che si stava svolgendo una nuova epica dei viaggi, sconosciuta ai secoli precedenti.
Il Mediterraneo oggi è una fossa comune. In dieci anni trentamila vite sono affondate a braccia aperte sul basso fondale tra l’Africa e l’Italia.
L’ultimo viaggio di Sindbad è il racconto di uno dei primi.
Uno dei primi è l’ultimo. Il resto?