Il terremoto è un naufragio in terra. Le case diventano imbarcazioni scosse tra le onde e sbattute sugli scogli. Si perde tutto, si conserva la vita, lacera, attonita che conta gli scomparsi sul fondo delle macerie.
Si abita un suolo chiamato per errore terraferma. È terra scossa da singhiozzi abissali. Questi di stanotte sono partiti da oltre quattromila metri di profondità. Qualche giorno fa stavo agli antipodi, oltre quattromila metri sopra il mare. Quel monte delle Alpi non è un meteorite piovuto dal cielo, ma il risultato di spinte e sollevamenti scatenati dal fondo del Mediterraneo. Forze gigantesche hanno modellato il nostro suolo con sconvolgimenti.
Si abita una terra precaria, ogni generazione cresce ascoltando storie di terremoti. Così, con le narrazioni, i vivi smaltiscono le perdite. Le macerie si spostano, si abita di nuovo lentamente, ma al loro posto restano le voci, le parole degli scaraventati all’aperto, a tetti scoperchiati. Ricordano, ammoniscono a non insuperbirsi di nessun possesso.
Arriva cieco di notte il terremoto e sconvolge i piccoli paesi. Ma i mezzi di soccorso sono di stanza nei grandi centri. Fosse un’invasione, quale generale accentrerebbe le sue forze lontano dai confini? Per il protettor civile questo ragionamento non vale. Ogni volta deve spostare le sue truppe con lento riflesso di reazione. Ai naufraghi nelle prime ore serve il conforto al cuore di un qualunque segnale di pubblica prontezza. Invece arriva prima un parente, un volontario, un giornalista. Il terremoto è anche un’invasione, contro la quale avere riserve piccole e pronte sparpagliate ovunque.
“Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie”. La frase di guerra di cent’anni fa del soldato Ungaretti Giuseppe racconta il sentimento di stare attaccati all’ albero della vita con un solo piccolo punto di congiunzione.
Erri De Luca
Zone a rischio, mappe sismiche, placche continentali e faglie marine, 1500 km di dorsale appenninica, terremoti gemelli, piani, criteri e controlli antisismici.
Geografia, geologia, memoria storica del passato.
Sono cresciuto in un decennio iniziato con il terremoto e la distruzione del 1980. Avevo appena compiuto 7 anni. Poi il bradisismo e le notti trascorse in macchina per strada, quando il rumore delle scosse (sempre di notte) svegliava il sonno e la paura ci faceva correre tutti fuori dai letti e lontano dalle case.
Da allora in giro per l’Italia ho visto crollare e sbriciolarsi in macerie la basilica superiore di Assisi e i centri dell’Umbria e delle Marche, la scuola elementare di San Giuliano di Puglia, l’Aquila, l’Emilia.
Sempre la generosità delle persone buone, le corse contro il tempo, il coraggio, lo spirito e l’impegno dei volontari e dei professionisti che intervengono nei soccorsi, nelle ricerche, negli aiuti, nelle donazioni e nelle iniziative di solidarietà di tante realtà positive.
Sempre la finzione e le falsità mediatiche della retorica delle istituzioni – “tempi di ricostruzione certi” – , le dirette non-stop sul filo della cronaca di speculazione, a caccia di audience e degli aggiornamenti dei bilanci delle vittime in striscia rossa; le interviste agli esperti e gli appelli alla sensibilizzazione, alla prevenzione, alle leggi e alle norme urgenti da fare, urgenti per qualche settimana e che poi, passata l’urgenza della cronaca, non si faranno mai.
Viviamo in un paese di enormi contraddizioni.
Abbiamo osservatori e centri di eccellenza scientifica – come l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – ma non c’è la cultura politica e sociale per valorizzarne le competenze e costruire un sistema efficace di protezione e prevenzione nazionale e territoriale.
Studiamo cosa sono e perché avvengono i terremoti fin dalle scuole elementari; impariamo già da bambini parole strane come Richter, epicentro, onde sismiche; sappiamo cosa fare e cosa non fare in caso di terremoto. Eppure ogni volta ci svegliamo sepolti tra nuove macerie, in centri abitati sbriciolati, crollati su se stessi, e che improvvisamente, da un’ora ferma sull’orologio di un campanile rimasto in piedi, non ci sono più.
Viviamo in un paese di enormi contraddizioni. Tanto grandi e gravi da far rabbia. E siamo sempre punto e capo.
Resta il peso del dolore di una enorme tragedia umana, che ciascuno vive con la propria sensibilità (purtroppo nel caso di alcuni acefali con la propria insensibilità).
Restano le immagini di distruzione dei centri colpiti, delle vite perse, degli affetti e delle famiglie spezzate.
Resta la fatalità di una notte sciagurata in cui l’Appennino ha terremotato la sua dorsale centrale al vertice tra quattro regioni.
Ma restano le gravissime responsabilità di uno Stato che, nonostante le esperienze recenti degli ultimi decenni e le conoscenze che in questi anni si sono ampiamente allargate su tecniche e soluzioni per la prevenzione antisismica, resta incapace di tutelare i propri territori e le popolazioni che li abitano con un sistema di interventi urbanistici, normativi, legislativi, culturali e sociali efficaci e all’avanguardia in termini di prevenzione del rischio, di protezione della stabilità delle strutture e di controlli degli appalti e dei lavori di ricostruzione e ristrutturazione.
Speriamo che la prossima fatalità ci colga più pronti o saremo sempre vittime – in un altro luogo – di questa irresponsabile e vergognosa incapacità.
Un terre-moto viene a scuotere la svogliatezza?
Non siamo altro che inquilini, precari, di questa terra che, invece, troppo spesso abbiamo la presunzione di occupare accampando pretese di proprietà private.
Hai perfettamente ragione Erri, concordo in pieno con te, come sempre.
E quanto è importante, soprattutto in questi momenti tragici e di choc collettivo, ora più che mai, ripartire dal racconto, dalla memoria. dalla letteratura, anche orale, dalle “voci” di chi ci ha preceduto, proprio per superare tutto questo, dargli un senso.
https://blogs.mediapart.fr/eugenio-populin/blog/240816/erri-de-luca-naufragio
Una traduzione fedele e appassionata. Tutta la mia ammirazione.
Grazie del commento.
Attendiamo gli sciacalli. Sono loro a dare un senso a tutte le tragedie che l’uomo non può prevedere.
-chi cammina sulla fune non può, nemmeno per un istante,fare “come se”-
Si vive sulla fune.Sarebbe questa ,forse,
la cosa da raccontare,giocosamente,
ai bambini ,da ricordare con tremore
ogni giorno in noi .Forse la vita diventerebbe più buona,sì buona,per tutti
forse sarebbe un’ altra cosa…..
I mezzi di soccorso come gli ospedali sono diventati un business da concentrare e non un servizio da rendere ai cittadini. Dai centri minori hanno cercato di far scomparire anche le scuole per rendere anche esse delle fabbriche di schiavi al servizio delle imprese.
Più volte mi sono trovata a vivere le scosse di terremoto ma in una realtà fortunata, quella senza danni alle cose. Sono verissime le tue parole “Ai naufraghi nelle prime ore serve il conforto al cuore di un qualunque segnale di pubblica prontezza. Invece arriva prima un parente, un volontario, un giornalista”. Questa esperienza fa scoprire che l’uomo è un essere sociale: nella fortuna puoi stare anche da solo ma nella mala sorte sono utili anche gli occhi pieni di paura e domande nei quali poterti rispecchiare!
Coraggio e speranza a tutti coloro coinvolti in prima persona in questa esperienza con l’augurio che vi giunga presto il dovuto aiuto da parte di persone mosse da valori umani piuttosto che da tornaconto.
Se il terremoto è dolore sia fisico che economico, per altri generi umani abitanti in uffici, di primo soccorso, oppure aziende in collegio con i vari ministeri, dei lavori pubblici, forse non tanto tempo fa sorridevano, per il lavoro dato dalla natura terra, per poi costruire, case si nuove, dai balconi cadenti, come quella gentaglia di affaristi, per il lungo ed interminabile lavoro che avranno in futuro, con un’accisa da imporre sulla benzina, il loro salva condotto è cosi ripartito, dalla politica”del fare”
Tesoro mio, la definizione di naufragio di terra ha preso tutto il significato di quanto succede in questi casi, e coccola i rimasti in piedi a raccattarsi i rimasugli della propria storia. Forse solo nel disastro riusciamo a scoperchiare la nostra indole da paesani. Ci sarà aiuto e pianto comune, sarà precario come la vita, la terra che proprio ferma non è, e purtroppo come la solidarietà che svanisce al primo accenno di una Normalità di vita che in realtà non esiste. Un bacio, soccorritore di lacrime. Bibiana
Hai ragione Erri la terra e’ padrona assoluta ,l’uomo può pensare solo all’uomo, quando questa si ribella ….