Cercavo un libro da portare nel lungo volo fino a Melbourne. Cercavo un libro di Yoram Kaniuk, non l’ ho trovato subito e così sono andato a spasso per titoli sul dorso dei libri. Ho fatto un pensiero ai 49 Racconti di Hemingway, poi ho visto ” I Quaderni di Malte Laurids Brigge” , di Rilke. Ho preso questo.
L’ avevo letto a 19 anni dopo la “Lettera a un giovane poeta” dello stesso autore. Nei Quaderni trovavo coincidenze tra lo sgomento del giovane Rilke, ventottenne squattrinato a Parigi e i miei 19 anni spaesati a Roma in camere ammobiliate, tra ospiti di stanza sconosciuti, in silenzio e in orgoglio.
Nella rilettura ho ricordato il me stesso che leggeva. Ho incontrato qualche frase che avevo trascritto allora su un quaderno verde. Mi piace ricalcare con la mia scrittura i pensieri saltati dalla pagina agli occhi.
“e il riso sgorgava dalle loro bocche come pus da ferite aperte”.
“Al desiderare non si deve rinunciare mai. Credo che non si dia realizzazione, ma ci sono desideri che durano a lungo, per tutta la vita, e la realizzazione si finisce per non attenderla più”.
“Ci facevamo un’ altra idea del meraviglioso. Trovavamo che se tutto si svolgeva in modo naturale era più meraviglioso, sempre”.
Ho incontrato anche una pagina alla quale avevo imposto la piega di un’orecchia. L’ho letta cercando quello che allora riuscì a riguardarmi. Era un elenco di disturbi della percezione, un ingrandimento spropositato di dettagli colti in strada, una lista di angosce. Cercavo una frase letteraria e ho trovato il mio grumo di paure nascoste sotto quelle di Rilke.
Sì, le ho avute, ma dove sono finite? Quando le ho schiacciate? Se erano foruncoli di una varicella interiore, dovevano lasciare almeno la virgola di una cicatrice.
Così ho saputo che non ero più io. Un altro si era sostituito a quello che ero a 19 anni e aveva sbattuto la sua vita con la forza di una lavandaia al mastello. E così aveva cancellato le macchie, che erano la mia livrea, la pelle di animale braccato, utile a mimetizzarsi.
Guarire dalle paure è ammalarsi di durezze.
Cercavo un pensiero lucente nella pagina con l’ orecchia d’ angolo, ho trovato la mia pelle scuoiata.
Allora ho fatto una mossa degna di quell’altro che sono diventato. Ho raddrizzato l’ orecchia e ho tolto il segno.
Mi affascina sempre la tua scrittura, i pensieri e i guizzi espressivi, la musica che fai cantare alle parole. “Guarire dalle paure è ammalarsi di durezze” questa frase mi si è evidenziata da sé ed era inevitabile per me, pozzo di paure senza fine. Credo anch’io che sia così, forse dobbiamo fare delle paure le nostre compagne di viaggio, impedendo che ci paralizzino ma facendo in modo che divengano evidenziatori fluorescenti del nostro coraggio.
Se la durezza è una malattia permettetemi questo ossimoro : la durezza ti salva la vita
Togliere l’orecchia, togliere il segno alla pagina del libro, è cercare di liberarsi di un pensiero. Ma la pagina è sempre lì, e ne ricorderai il numero per sempre.
Bevo dalle tue parole di vita vera, autenticamente, intensamente vissuta, quel sentire che e’ anche mio e mi disseta. Adriana
Le riletture sono un po’ doppiare la via già percorsa e come magnificamente racconta Erri De Luca, sono piene di conseguenze. A lui sarà l’orecchio alla pagina fatta quaranta anni prima a riproporre quel lettore che si era presentato la prima volta…
Non l’avrei tolta mai, l’orecchia…
…uno schiaffo alla coscienza e all’identità, che si perdono nell’incoerenza del vissuto…e un capello bianco è la virgola per una nuova frase…