“Libera i miei occhi e guarderò” : il verso 18 del salmo 119 fa sapere che si arriva a guardare dopo uno svelamento. Vedere è solo una registrazione, guardare è lo scatto che fa intendere, anche solo intuire, quello che è stato visto.
Ho avuto un balcone affacciato sul golfo di Napoli. L’angolo si apriva dal Vesuvio a Posillipo, passando per la penisola di Sorrento e per l’ isola di Capri. Il balcone somigliava a un abbraccio. Vedevo, si, ma la vista scivolava rapida come una carezza. Era il solito dono, immeritato e perciò malinteso.
Al buio prima dell’alba, la città ferma ancora, al balcone arrivava lo scoppio regolare del diesel di una barca da pesca, che si staccava dalla spiaggia di Mergellina. Sentivo, senza conoscere il bisogno che spingeva al largo, ancora al buio.
Solo più tardi su una pedana di fabbrica, nel frastuono delle lavorazioni, ho recuperato dal fondo dell’udito, che è cisterna, il motore a scoppio di quel motore solitario che inaugurava il giorno. Ci è voluto il frastuono schiacciante di una fabbrica e il buio prima dell’alba, simile e distante, per intendere quel diesel sopra il mare. Veniva dal mio stesso sonno spezzato, dalla stessa disciplina della necessità.
Molto più tardi ho conosciuto i versi di un poeta amico, un uomo di Sarajevo che amo’ la sua città, il suo secolo e la donna della giovinezza. Scriveva spesso il verbo amare, lo ribadiva contro un’epoca che se ne vergognava.
A Napoli non si usa, sostituito da: ti voglio bene. Lui slavo del sud mi rimetteva il verbo sotto il naso. Ci è voluta la sua schietta e spudorata pronuncia per riportarmi sul balcone di Napoli, alla vista distratta sopra il mare, sotto la prima luce uscita dalla spalla del vulcano. Il verbo amare di un poeta sgomento di tristezza per la morte della sola donna della sua vita, mi metteva a fuoco l’orizzonte lasciato a diciotto anni. Quel verbo dichiarava quello che avevo visto troppo da vicino.
“Libera i miei occhi e guarderò “. Guarderò all’indietro, riconoscerò, non importa se tardi o ancora in tempo. Riconoscerò: premessa per arrivare alla riconoscenza.
Rileggerlo questa mattina mi ha regalato nuove emozioni.
E’ forse questa la vera poesia?
Chiudo gli occhi e finalmente vedo.
I pensieri tramontano mentre la luce crepuscolare mi risuona dentro.
Il dolce e mesto riverberare della mia anima.
Canto le regioni purpuree del cielo, l’ insostenibile bellezza, l’ impotenza di fronte all’ imponenza.
Vi è poesia anche nei passi stanchi del ritorno, nelle leggere vibrazioni che ogni tanto mi manda il cuore.
Carezzami i pensieri, dimmi che c’è una vita prima della morte.
Chiamando la sofferenza per nome mi incammino verso un punto dell’ infinito.
Non aspettatemi.
Tornerò.
Joseph Buysse
Grazie a te
per il tuo dialogo
becco aperto
Che aspetta conferme.
Per l’amarezza
Sfogata a due
Mano che incalza
La curva spalla.
Per le risate
Singhiozzate all’assurdo
Non siamo stupidi
E ne soffriamo.
Le tue cantate
Squillanti a vortice
Giovani gioie
Ancora bagnate.
Per il rispetto
Del nostro scusarci
Al mancato controllo
Di vento sfumato.
Grazie del nostro
Spingerci oltre
Giustificando
Comuni passi.
Rimani pietra
Divento sasso
Grazie del bene
Figlio mio.
E se fossero gli anni accumulati maestri dell’arte del guardare..
che bello invecchiare!
Schiavi dell’io e della finitezza, protetti dalla paura, rimaniamo in quel vuoto che rende impossibile l’amore.
Senza il buio del sole non vedremmo le altre stelle: l’accettazione della nostra limitatezza è il primo passo compiuto per superarla.
Con fede, con pazienza cercando troviamo gli appigli per proseguire, riconoscendo più tardi che il nostro procedere è invero ritorno verso quel Creatore dal quale abbiamo avuto origine.
Egli ha generato in noi la sensazione d’infinito: risposta d’amore che traduce gravità e gentile soavità.
Preghiera. Chicco per pane.
Gli occhi un poco languidi dal sonno, stringendosi
fra le braccia all’incontrarsi delle nubi
che ammonticchiano le foglie – le rampicanti salite
sui tetti saldi delle capanne -,
fortunati coloro che la notte, il petto colmo dei seni
delle amanti, ascoltano dormendo
i rombi dei torrenti d’acqua che cadono incessanti
dalle nuvole fonde.
Anonimo, Tesori della poesia indiana
Sono innamorata del mare, dei paesaggi, della gente della costiera amalfitana, di Napoli e delle Isole. Napoli si svela nella sua profonda bellezza ancor più dal mare, su un traghetto che va a Procida e a Ischia. A Capri sono stata a gennaio di qualche anno fa, a visitare la Villa di Tiberio, cioè i pochi resti rimasti , attaccati al cielo azzurro. Sono il mare e il cielo azzurro che ti svelano la bellezza. Bellezza che adesso mi basta per vivere e aprire l’intuito. Ma in altri tempi non era così. Una volta a Positano, in un casa trasformata in albergo del capitano, dal balcone vedevo tutta la baia, e mi sentivo sola, anche se stavo con il mio ex marito, il quale mi aveva veramente delusa, e non riuscivo a vedere quella grande bellezza. Mi aveva detto tante di quelle volte che mi amava e cercava di dimostrarmi questo grande amore.
Ora vedo e odo la bellezza, e intuisco, anche se sono sola, malata, maltrattata e oppressa e non riesco a credere. Però le parole di Papa Francesco mi fanno bene e mi fanno capire.
Liberami gli occhi in tempo,
in tempo per tornare sui miei passi
e (ri)conoscere
la nostalgia e la pietà
Liberami gli occhi in tempo
perchè io possa averne cura
come di un rosario
avvolto tra le dita.
come un rosario tra le dita