Quando Copernico pubblicò il ” De revolutionibus orbium coelestium” , dei monaci commisero suicidio. L’ evidenza di una realtà meccanica e scientifica in contrasto con le scritture sacre sgomentava a morte. L’ intelligenza umana si permetteva emendamento dell’ ordine divino.
Copernico usò il termine ” de revolutionibus” in senso proprio delle rotazioni e in senso figurato di stravolgimento. L’ insolenza era dichiarata fin dal titolo, corretta solo dalla dedica dell’ opera a papa Paolo III, nel tentativo di estorcere una impossibile benevolenza. Ma il pontefice aveva altre incombenze, alle prese con lo scisma di Lutero e con il Concilio di Trento.
La fede era stata violata nella sua giurisdizione sopra l ‘universo. Dai confini dell’ impero astronomico irrompeva l’ orda profana con l’ arroganza della dimostrazione.
Per sua natura la fede è al riparo dalle dimostrazioni: se potesse essere verificata come un teorema, si ridurrebbe alla taglia di un ragionamento.
Barbara era l ‘orda della nuova astronomia, ma non il condottiero. Copernico proveniva dagli studi teologici, si era laureato in diritto canonico a Ferrara, traduceva dal greco in latino, studiava medicina.
La terra non era immobile al centro ,ma spodestata dal sole? Ma come poteva essere fermo il sole, se Giosuè gli ordina l’ arresto, per poter terminare una sua battaglia? Doveva per forza essere un satellite come la luna, pure quella coinvolta nell’ ordine pronunciato da Giosuè.
La fede fu sconvolta dalla ribellione della scienza. Reagì come un re sotto minaccia sopra la scacchiera: con arrocco di torre. Si difese anche con il fuoco in piazza. Ma appunto si difese e basta. Guadagnò tempo e perse terreno.
L’ astronomia fu sempre la più progredita delle scienze. Mentre il pianeta terra era in gran parte inesplorato , il cielo invece era percorso in lungo e in largo da osservazioni e da misurazioni. Costellazioni, comete, eclissi, sciami: gli astronomi viaggiavano da fermi per tutto il firmamento. Per carovana bastavano gli occhi spalancati in su.
Galilei sintetizzò con una battuta il passaggio critico della fede: doveva occuparsi di come si va al cielo, non di come va il cielo.
Così la fede perse autorità di scienza ma non ci rimise in vastità e penetrazione. Si approfondì nello spazio infinito all’ interno della creatura umana. Diventò inespugnabile in quella intimità e non fuori di essa.
Ho conosciuto persone che la contengono. Durante gli anni ’90, nelle guerre di disgregazione della Jugoslavia, ho partecipato da autista ai convogli di aiuti spontanei e volontari organizzati da ferventi cattolici. La loro efficacia e generosità proveniva da quel combustibile interno a me sconosciuto, che imparavo a riconoscere in loro. La loro fede era una centrale di energia che si rigenerava a costo zero. Produceva opere buone, ma per loro quello era solo un segno, la testimonianza. Non consistevano in quelle opere, ma nella relazione con la divinità, un tupertu fitto e perpetuo, che era scopo e mezzo.
Per me le opere di pronto soccorso ai profughi erano tutto, esaurivano in pieno il movente dei miei viaggi dentro quelle guerre. Dare una mano, non lasciare correre la malora altrui senza una mossa di fraternità.
Ho visto la fede degli altri, ho fatto esperienza indiretta del dono piantato nei loro gesti, nei comportamenti. E’ un dono intransigente che non ammette paragone con altre virtù: accanto alla fede esse sono accessorio secondario.
Resto uno che non crede, uno che esclude la divinità dalla propria vita, ma ha imparato a riconoscerla nelle vite degli altri. Potrei tentare imitazione, fare come se quella divinità esistesse anche per me. Potrei indurmi a un’ adesione di buona volontà, ma non durerebbe. Fare come se: sarebbe un surrogato indegno.
Resto accampato fuori dalla comunità dei credenti, sotto l’ arbusto secco di Giona/Ionà. Lui cercava l’ ombra precaria di una pianta di ricino, dopo essere stato sconfessato nella sua missione di messaggero del finimondo a Ninive. Cercava un riparo al suo isolamento, dopo che era stato convocato dalla sillaba “Kum!”, àlzati, che lo aveva suscitato. Lui era stato raggiunto da una voce inesorabile, che non consentiva altra scelta. A me, non convocato, spetta l’ osservazione di quel “Kum!” nella vita di chi contiene fede.
A chi mi chiede se sento la mancanza di quella sillaba iniziale, posso rispondere con il verso di De André :”Quello che non ho, è ciò che non mi manca”.
bellissimo racconto, bello lo stile, magiche e sorprendenti le storia che Erri De Luca tiene sapientemente raccolte in coro come voci.