E’ l’alba di un secolo giovane, Marek si accorge che sta sbiadendo il buio dai vetri alle sue spalle. Per la durata della notte ha parlato yiddish con suo padre. Nel ritratto ha ancora la bocca aperta.
Tate, tatele, bleib gezint, papà stammi sano, insieme alla nostra Vizebsk ebraica per metà, quella che rimane di una dispersione verso l’Occidente. In tanti sono andati nelle Americhe. La Vizebsk degli ebrei si sta svuotando. La rivoluzione in Russia li libererà dall’obbligo di stare nelle zone chiuse.
Perciò si riempiono di loro bagagli le navi che esportano i figli d’Israele oltre l’Oceano Atlantico. A bordo i sarti, i ciabattini, i cappellai, i maestri di Talmud hanno il tempo di strofinare le palme delle mani sulle corde per inventare calli, da spendere all’arrivo. Alle dogane guardano più quelle che i documenti delle identità. La ruvidezza è passaporto e certificato di buona salute.
Per Marek il futuro sta sopra la tela, lì precede i tempi. Per un artista il futuro è un terreno seminato già.
E’ l’alba, il quadro è fatto, suo padre è lì davanti. Un ritratto può pareggiare il disavanzo tra l’opera di un padre e la notte di gratitudine di un figlio?
“Schwer zu sein a Yid”, difficile essere un Ebreo, dice un proverbio yiddish. Ancora più difficile essere stato padre sotto un impero che tollerava regolari stragi di sudditi Ebrei inermi, circondati da restrizioni e discriminazioni.
Ecco tuo figlio, giovane artista già riconosciuto che abita nella Parigi leggendaria dei pittori. Hai fatto un buon lavoro, commerciante di aringhe di Vizebsk, hai fatto un buon lavoro crescendo un giovanotto che si farà conoscere nel mondo. Ti ringrazia tuo figlio con un tuo ritratto composto alla maniera del nuovo 1900, secolo di molto originale.
Non ti riconosceresti e non diresti niente. Ti lisceresti la barba e accenneresti un sorriso: “Sono io quello?” Ammetteresti di essere rimasto indietro, che i tempi nuovi sgambettano il passato e lo deridono. Non ci sta neanche male, il passato buttato gambe all’aria da una bella e insolente gioventù. Nel tuo ritratto no, niente insolenza: qui tuo figlio lontano ha messo la sua corsa di salmone a risalire la corrente, il tempo, per deporre le uova della sua gratitudine nel punto esatto in cui è venuto al mondo.
Non è un pareggio con quello che gli hai dato, è molto di meno. Però è il colmo raggiunto di una nostalgia.
In sinagoga piangi quando è turno di leggere la pagina del padre che sale al monte col coltello e il fuoco. Come hai potuto, Avràm avinu, Abramo padre nostro?
Siete pari? Se no, che altro pareggio esiste? Le lacrime pareggiano e una loro notte basta a congiungere le duemila verste tra Montparnasse e Vizebsk, tra la Senna e la Dvina.
Tuo figlio, già rivoluzionario in pittura, aderirà alla nuova Russia dei Soviet, che esordisce ammettendo gli Ebrei all’uguaglianza. Aderisce e poi si allontana, secondo la deriva del secolo che va verso Occidente. Prima a Parigi, poi via dai nazisti negli Stati Uniti. A stragi terminate rientrerà in Europa, dipingerà pure a Gerusalemme.
E’ la vita di uno del 1900, secolo di promesse e minacce smisurate. Diventerà padre, passaggio che fa scordare e slega dallo stato di figlio.
Tu resterai piantato in un ritratto, formato uno a uno, grandezza naturale, quella che sta tra genitori e figli.
Nota
Fridtjof Nansen è stato un esploratore norvegese, poi Alto Commissario per rifugiati della Società delle Nazioni.
Compì la prima traversata est ovest della Groenlandia con gli sci, studiò le correnti oceaniche, partecipò alla dichiarazione di indipendenza della Norvegia dalla Svezia.
Concepì un passaporto utile a proteggere apolidi e rifugiati dopo la Prima Guerra Mondiale.
Il passaporto Nansen permise libertà di spostamento a circa mezzo milione di persone. Uno di questo documenti fu intestato a Mark Chagall. Un altro toccò a Igor Stravinskij.
Apolide è chi perde la cittadinanza per privazione di Stato. In Italia le leggi razziali del 1938 la privarono alle persone di origine Ebraica.
Per il passaporto da lui voluto e realizzato Nansen ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1922.
Oggi i principi di quel documento sono entrati nella Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiati. Ma per rifugiato un conto è avere in tasca un documento di identità e di viaggio, altro conto è sapere che esiste una Convenzione che lo tutela. In mezzo ci sono le espulsioni arbitrarie, le detenzioni nei campi di identificazione, i viaggi con naufragio incorporato.
Oggi Fridtjof Nansen è urgente più di prima.
Non sono d’accordo che sia il diventare padre il passaggio che può slegare dallo stato di figlio. È un passaggio inutile quando, sentirsi uno a uno con l’immagine reale di sé e non con quella che si vorrebbe che sia ed invece non è, è l’unico documento che conta alla dogana della Coscienza collettiva.
È una gioia quando arriva un’altra parte di questa sorprendente storia Figlio Padre e fantastico il Passaporto Nansen. È vero quanto afferma Erri De Luca: «Oggi Fridtjof Nansen è urgente più di prima».