D’inverno vado a fare legna al mare. La spiaggia è quella senza fine a nord di Fregene. Ho riletto l’Eneide, di recente. Virgilio fa sbarcare i profughi di Troia a sud di queste dune.
Cammino con lo zaino e con la sega, faccio la raccolta dell’offerta.
Staccati da qualche tempesta, sradicati, gli alberi hanno navigato. È il primo prodigio del legno, galleggiare. La nostra specie umana ha potuto esplorare il pianeta, conoscerlo, grazie al legno che sa navigare. Altrimenti dovevamo aspettare l’aviazione.
Cammino a fianco allo scroscio di onde che schiumano al vento, chilometri e nessuno, neanche un pescatore con la canna. Mi chino su qualche legno, se lungo lo sego a misura per lo zaino. Stagionato, scortecciato, levigato a sale, una preparazione fatta apposta per il mio bisogno.
A sera nel camino arde la sua fibra depurata nel viaggio. Non odora di mare, di pesci, la sua brace irradia il secondo prodigio del legno: ardere e scaldare. Il suo terzo è di farsi materia di tavoli, di case, di chitarre.
Seduto davanti al camino, allungo i piedi e dalla loro pianta risale il calore per le ossa, fino al cranio, ultima stazione.
Un legno venuto dal mare mi avvia l’immaginazione. Invento il nome di una terra da dove si è spezzato, saltato giù da una costiera a picco o accompagnato dal fiume. È successo d’inverno, ch’era spoglio, o è partito con tutti i nidi al vento.
La storia di un legno di mare si può toccare, che è un leggere diverso. Nel camino che lo disfa, se ne sente il soffio. Questa è l’impressione sfuocata di uno che a sera ha il tempo di mettersi a sentire. Intorno sono io l’unico rumore. La casa ha i suoi scricchiolii di pietra, i suoi tonfi attutiti di fantasmi amici.
Il freddo si strofina sulla spiaggia e mi fa da isolante. Sto nella sua custodia. È il posto più sicuro al mondo. Non s’incontra nessun evasore fiscale, sfruttatore di lavoro nero, spacciatore di notizie false, aizzatore di rancori razziali, inquinatore.
C’è il mare grigio scuro come le pietre della casa, le sue ondate che confondo con quelle del vento negli alberi. C’è il bianco sfrangiato delle creste: intraviste dalle fessure degli occhi, possono essere le criniere scosse di una carica di cavalleria. Qualche colosso di nave da cargo interrompe la linea dell’orizzonte.
Lo zaino carico di legni mi fa pestare passi pesanti sulla rena. Lasciano dietro di me una traccia che non resta. Mi scalda anche da spento il legno sulla schiena. Il fiato solfeggia un ritornello, mi spunta dalla bocca una canzone che si disperde.
Per segare m’inginocchio e spargo sulla sabbia un po’ di segatura simile alla neve. Sotto sferza di vento si spiccica qualche lacrima, il migliore dei colliri. Se mi finiscono in bocca, me le ripiglio inghiottendole.
“Il mare ha una sua tenebra pesante”, scrive in un suo verso Alfonso Gatto, meridionale, poeta privo di declamazione.
Anche a passarci di giorno si capisce il peso che comprime i suoi fondali. Sono stato incapace d’immersioni, nuoto in superficie. Pure da mossa, resta livellata, mostra un pareggio e mostra un’ uguaglianza. Nessuno è più in alto di un altro, immerso nel suo liquido.
Perciò esiste nel mare la legge del soccorso, l’obbligo di salvare. In terraferma si avverte di meno l’impulso di lanciare un salvagente, issare a bordo.
Ho avuto il privilegio di condividere il viaggio di una nave, la Prudence di Medici Senza Frontiere, che raccoglie vite di naufraghi, chiamandoli ospiti. In mare c’è istinto di soccorso. In mare la guerra è più oscena e più fuori di posto.
Questi pensieri randagi mi accompagnano i passi su una spiaggia d’inverno, a nord di dove il Tevere finisce la discesa
Erri
“La storia di un legno di mare si può toccare, che è un leggere diverso.”
Caro Erri, solo tu puoi scovare e scavare la poesia dentro la concretezza.
Cosa c’è di più concreto e antico di un albero, di un legno e della sua storia impressa nella sua conteccia e tra le venature che lo segnano?
Cosa c’è di più poetico di saper guardare quel legno fino al punto di toccarlo per leggerlo dentro, e restituirci le sue verità?
Sorrido a leggere questa frase, perché penso al valore che tu riconosci ad un albero. Più volte hai ribadito che ogni scrittore dovrebbe piantare alberi per (la sostanza è questa) restituire alla natura ciò che riceve, a contrappeso, in segno di grazie.
Sorrido perché noi leggiamo pagine bianche levigate di libri, e tu leggi il suo legno, la sua primizia.
Bisogna avere un cuore capace di ascoltare con tutti i sensi per saper leggere la natura. Che meraviglia il tuo cuore, Erri.
“Le sue ondate che confondo con quelle del vento negli alberi.”
“In mare c’è istinto di soccorso. In mare la guerra è più oscena e più fuori di posto.”
Il mare sconbina le carte, Erri, niente è ordinato tra le sue correnti quasi mai immobili.
Non possiamo camminare tra le sue onde, con passo frettoloso e distratto, fermarci solo ogni tanto.
Il mare costringe.
Il mare ci costringe a percepire di più il nostro peso corporeo, a percepire di più il peso corporeo dell’altro, il dono e l’essenza della sua presenza.
Il mare costringe ad una mossa diversa, ad un ritmo nuovo. Il mare costringe ad allungare le braccia per disinfettarle e bagnarle di sudore e di sale per tutte quelle volte che tentiamo di salvarlo, salvando un essere umano tra le sue di braccia. Rifiutando indiffenza, logiche di profitto, vestiti di scuse; abbracciando soltanto le sue onde, e il suo invito.
Grazie per le tue parole che rammendano il nostro cuore, lo fanno nuovo, più semplice, più capace di apprezzare la natura, più capace di ascoltare.
È un immaginifico viaggio nel sentire che avvilippa infine materia – tempo e la loro stessa negazione, in un succedersi incessante e caotico, energia pura e mistero di vita. Lo scenario marino riverbera emozioni, mutuandole in un silenzio assordante ch’è estatico e trascendente. Gli elementi si liquefano, sospesi sulla linea d’orizzonte, da dove uno straziante coro di dannate voci invoca insieme aiuto e perdono. A te, nuova madreterra.
a tutti quelli che si amano,
che si amano e basta
Rilke
-E anche il tuo non esserci
caldo è di te ed è più vero,è più
del tuo mancarmi-
con questi chiari di luna un po’ di cinismo fa bene al menisco
(non al mio)
… Certo che “transfert”! Tran-tran
…Che poi succede proprio così, sul bagnasciuga che segna il limite tra inconscio e coscienza, ed indulgere alla risoluzione di fenomeni sinestesici è come andare a lezioni da Giona, aiutato da Pinocchio negli esempi pratici di evasione o estrinsecazione del senso… Un trasfert lungo ma alla fine si esce fuori dalla balena, è certo!
Ed è successo che… Erri, mo’ ti spiego… :
Che quel legno “di” mare mi suggerisse una causa di parentela, elemento di un certo “peso” nel quale galleggiare è “necessario”. (Salutiamo Aristotele, che lascia l’aula!)
Che “…una traccia che non resta” mi assomigliasse a qualcuno che sta nelle scarpe e negli abiti di qualcun altro che non c’è fisicamente, perchè il viaggio lo ha “depurato” dei suoi connotati e caratteristiche, ma che di quel qualcuno porta il peso del senso.
O’ vero: eravamo pesci, e non possiamo dimenticarlo!
Altresì “a pezzi” emerso in superficie, lignaggio che riscalda sino alle ossa, sciogliendo ciò che isola dalle radici.
Non posso proprio prendermi sul serio, Erri! Buona uscita!
Giovedì
Rileggendo il tuo racconto un po’ crepuscolare ma con un accorato sussulto finale,
ho capito di essere creatura di terra non di mare:non abito una casa isolata dove
fantasmi amici mi vengono a trovare.Dalla mia finestra vedo una montagna di
Pietra,di nome e di fatto e quando il tramonto è rosso,si tinge di rosa regalandomi
uno stupore intatto che si rinnova ad ogni stagione.Sono fedele alla terra,alla mia
vita,respiro sottile,fatta di vere presenze,di assenze che scaldano il cuore come la
la stufa di ghisa che, coi legni di bosco,trasmette calore.Il mondo è un malato grave
sotto tanti punti di vista,che cosa si può fare?Star fermi a guardare?Certo che no,
darsi da fare ma darsi anche il tempo,in qualsiasi momento,di ringraziare.
a proposito di pensieri randagi e di emozioni
,
[…] da te ho imparato il lutto e l’ora di finirlo […]
Da tutto ciò che proviene dal mare ho distillato il senso del peso di due occhi chiari.
ti immagino seduto davanti al camino,mentre ti scaldi i piedi.E penso.
L’arte di raccogliere si impara con l’età,è un camminare lento,ha
una sua nobiltà.Le cose che scrivi oggi sono come una carezza,
E penso.La giovinezza è dissipazione, spesso,è un buttar giù i muri
in fretta e in questo c’è anche tanta bellezza,un’irruenza strana un po’
figlia di puttana.E penso.La mia vita ,eccola qua,la stringo nel mio
pugno ma…….è un dato di realtà ?o un’illusione mia che il giorno
spazza via?Eppure ho ancora molta da fare ancora molto da imparare.
Sì il tempo scorre via ma io sono qui e una cosa so:oggi è martedì
Amo e temo il mare, sa custodire la vita e la morte più delle terre. Ha il mare l’abbraccio aperto ai segreti, che sembrano adagiati mollemente e pure saranno per sempre. La terra copre solo con polvere ingenua, e basta un soffio.
Il legno sulle spalle può far da zaino o crocifissione…E’ la stessa cosa?
che bello sapere che in quei tratti di mare del litorale romano siamo in tanti in inverno a camminare, magari in orari e giornate diverse, godendo della voce del mare, del vento e degli uccelli
nelle mie passeggiate, raramente ho incontrato persone … quasi in una turnazione al cospetto della sacralità della natura
a me piace raccogliere piccoli legni dalle forme strane, ciottoli levigati o altri materiali che mi incuriosiscono.
anche le conchiglie dai colori e forme particolari mi chiamano e io faccio una raccolta in un vaso di vetro che mi accoglie all’entrata del mio appartamento e che mi fa da “invito” a ricordare che ci sono tanti posti belli e che con poco si possono risvegliare sensazioni e sentimenti che ci fanno sentire parte di un tutto
grazie Erri per questi appuntamenti sul sito della fondazione per scoprire che non siamo i soli a dare un significato diverso alla vita
a scuola ho dovuto scrivere un tema: . Altri tempi, non so i temi della scuola di oggi. Così allora scrissi di un albero che raccontava della sua vita, del vento con cui dialogava tra le foglie, i frutti. L’eleganza dei fiori. Era un ciliegio. Le chiacchere degli uccelli. Poi il taglio e il diventare il mio banco. Il legno ci accompagna anche alla fine ed è sempre salvezza.
Rispondo oggi al tuo articolo con una punta di invidia. No, non fare scongiuri, questa te la puoi spartire allegramente con tutti quelli che riescono a raggiungere la riva di un mare d’inverno. E’ in quel periodo che la salsedine si sente di più, uno spruzzo di salute gratuita che arriva come pioggerellina fine su tutti i nasi e le bocche che si affacciano al suo orlo. Eh… per chi vive in una città senza mare ma ce l’ha dentro è molto difficile rinunciarvi. Ho preso l’abitudine da qualche anno di andare a scrivere vicino al Po, non è la stessa cosa, ma l’idea che sia il braccio lungo d’acqua che prima o poi alimenta l’Adriatico mi fa più sorella degli abitanti che lo accoglieranno all’arrivo. Ritorna il tuo omaggio al legno, strumento dai mille usi, materia benedetta che serve l’uomo in tante di quelle maniere che dovremmo chinarci alla sua bellezza a ogni radice. Ma è così diverso il legno che trovi tu sulla riva zitta del mare d’inverno da quello che vedono gli abitanti dei fiumi… Il legno nostro nelle piene canta e balla, fa una cosa in più che galleggiare. Rotea nei flutti che lo vogliono morto, fa il su e giù dell’altalena, batte i rami su tutto quel che incontra , è rifugio provvisorio di uccelli scrocconi di passaggio e pianta dei tonfi sordi negli archi di sostegno dei ponti cittadini, ammucchiandosi come si ammucchiano le rondini in cielo a settembre in attesa di spostarsi altrove. Non si lascia raccogliere a riva, anzi: di solito quando si ferma è dispettoso, rischia di creare una diga naturale sotto gli archi appesantiti , mina le fondamenta dei ponti assieme all’acqua grossa gli preme addosso. E spesso è talmente marcio che non può essere riutilizzato… è l’ultimo dispetto al fiume che lo ha trascinato via dalla vita anzitempo, e all’uomo di città che deve farsi il mazzo a tirarlo via. Il tuo legno è più gentile…si lascia prendere e lavorare ancora. E’ un legno che s’è fatto cullare dal mare, per forza è buono. I nostri son stati strappati da casa… per forza sono ostili, anche se , vederli trascinati nella piena, sentirli sbattere contro rive e ponti, fanno ancora la loro porca figura. Ho di recente terminato una storia…ha giusto appunto a che fare con un albero. Te la mando, ma solo in cambio di un tuo accenno. Ciao poeta <3 <3 <3 <3
Un mio amico artista con i grandi legni raccolti a passoscuro ne fa sculture bellissime.
_il mare ha una sua tenebra pesante_
In mare la guerra è più oscena e più fuori posto.
Sembra un racconto d’inverno, trasmette brividi,eco di quelli dei naufraghi.
bellissima riflessione e aggiungo che è impossibile restare indifferenti con la propria coscienza davanti al mare di inverno. Il mare, lontano dagli schiamazzi e dai piaceri da bagnante, è davvero un enorme specchio in cui immediatamente vedi riflesso chi sei, la tua morale, la tua coscienza, la tua vita.
“Ho avuto il privilegio di condividere il viaggio di una nave, la Prudence di Medici Senza Frontiere, che raccoglie vite di naufraghi, chiamandoli ospiti”.
Io purtroppo non ho avuto questo privilegio. Erri, è troppo se, per invidia, faccio mia la tua condivisione del viaggio e delle vite raccolte?
Condivido totalmente le emozioni qua descritte,da anni…
Il piacere di trovare in spiaggia d’inverno i legni ed i tronchi levigati dal mare mi arricchisce e mi eccita… io non li prendo per il camino bensì perché voglio stare in loro compagnia… li porto con me in macchina e li sistemo in angoletti accoglienti nel mio piccolo giardino,in montagna,in Abruzzo, vicino a quei boschi dai quali magari arrivano… chissà!
Qua continuano a vivere modificandosi lentamente ancora e divenendo ancora diversi da prima,sotto pioggia neve vento e sole!
Sento la dignità della loro storia e ciò mi riempie di gioia e di senso.
Grazie
Il primo piacere del martedì. Grazie Erri!