“Questo paesaggio è disposto a fare a meno di me”. Il verso del poeta Russo Iosif Brodski stabilisce un punto di osservazione. Quello che ho intorno, luogo e tempo, di cui mi sento parte, continua, può continuare senza di me.
La mia presenza, che per abitudine di esserci mi sembra ovvia, è priva di necessità. Il paesaggio può fare a meno di me. Così ho l’impressione di avere cercato finora di fare in modo che invece il paesaggio sentisse bisogno di me, per giustificarmi la vita. E se non proprio bisogno, almeno riconoscesse che ne faccio parte.
Poi viene un momento, seguito da altri, in cui ci si toglie con l’immaginazione dall’inquadratura e ci si accorge da fuori che non manca niente. Il posto a tavola è tolto insieme al nome sulla buca delle lettere. Viene il momento in cui questo pensiero arriva senza essere invitato e allena alla presa di distanza.
Mi capita nei punti panoramici, davanti al mare e al suo alto orizzonte, sulla sommità di una montagna. Di fronte a queste vastità è più facile il pensiero affiorato nel verso di Brodskij. Non può durare a lungo. Per essere efficace deve passare come un vento in faccia, la sensazione di essere al di fuori del luogo e del momento.
Subito dopo, rientrato nel paesaggio, resto soprapensiero, come chi cerca di ricordare qualcosa sfuggito di mente. E poi rinuncio, con un mezzo sorriso.
Il vecchio Berkley sosteneva che le cose esistono quando noi le percepiamo. Ma questo è solo un tentativo di giustificare la nostra presenza nel mondo. No, le cose esistono a prescindere da noi. Quel che noi possiamo apportare di utile è il piacere che proviamo nel percepirle…
Mi ci vedo spesso, a farmene una ragione della mia presenza, ho rinunciato a cercare segni. Sto negli affetti. Se fossero un paesaggio ora non saprei disegnarlo.
Le pagine che ci hai offerto in questi anni sono una giustificazione impareggiabile, per noi lettori. Il tuo sguardo saggio sulle cose, la maniera in cui le trasformi in parole lente e compatte. Senza di esse, saremmo molto più poveri (di spirito).
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle / e questa siepe, che da tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude…”
E da questa parte il contadino e dall’altra l’ospite delle montagne. Uno si mette in relazione con la natura attraverso le mani ed ha risposte sulla bellezza e sulla giustizia. Sulla sua bellezza e giustizia. Legge intuendo e apprende contemporaneamente l’immagine in cui si immedesima.
L’altro compone l’esperienza estetica.