Il 2 gennaio ricorre la nascita di mio padre, così inizio ogni nuovo anno coi pensieri all’indietro.
Affiorano dei resti: per un periodo si era messo a dipingere, colori a olio su tela, acquerelli su carta. Era per svago suo, li mostrava solo a noi di casa. Accumulava tele che mamma buttava per eccesso con il suo permesso.
Dipingeva paesaggi, oggetti, non persone, per non imporre una seduta in posa a uno di noi. I panorami avevano il vantaggio di starsene fermi, però le onde no, le nuvole neanche e allora le accennava, come per le immagini sfuocate.
Usava un cavalletto per poggiarci la tela, una tavolozza per spremerci i colori e un grembiule per non macchiare l’abito. Niente di questi attrezzi ha superato l’esame dei traslochi.
Era un figurativo. Al contrario di lui mi servo di parole che per definizione sono astratte, ma con la pretesa di nominare le concrete cose.
Non posso dipingere un’alba, però la posso scrivere. Le frequento tutte, sveglio da ore prima. Abito senza rumori intorno, perciò riesco a sentire l’alba forzare la chiusura della notte, una saracinesca che si solleva piano, col brusío di ali che si scuotono.
L’alba è un rumore, prima di essere un barlume.
Papà dipingeva alla luce del giorno, era diurno. Il vino della sera gli accompagnava il sonno fino a dentro il mattino. Si svegliava di buon umore, sempre, anche da quasi cieco.
I ricordi di lui m’inaugurano l’anno con un mezzo sorriso.
Immense sentiment de tendresse, merci Erri !
Solo da adulti riconosciamo “il barlume” delle albe dei nostri genitori!…..
Meraviglioso silenzio.
Grazie per questo scritto