Da bambino in città, tra i vicoli dove il bucato ci metteva giorni a sgocciolare, ero d’improvviso scaraventato d’estate per tre mesi su un’isola. A piedi nudi mi trovavo davanti agli orizzonti. Gli occhi ci mettevano giorni a prendere la messa a fuoco, che in fotografia si chiama all’infinito. La pelle di città cadeva a pezzi, a squame di serpente. Sotto spuntava quella a buccia di carrube. Il corpo spalancava i pori per riempirli di sale.
Il mare gonfiato dal vento non era una piscina, un parco giochi, ma il dorso di un gigante che fumava di zolfo in risalita da pentole sommerse. Il suolo sobbolliva di fanghi.
In una notte il mare cancellava una spiaggia, inghiottiva barche e pescatori.
Imparavo la severa soggezione di fronte alle sue forze, la soggezione dovuta a sua maestà la maggioranza liquida del pianeta, non la soggezione fasulla verso i poteri costituiti in terraferma.
Il mare mi ha affrancato da ogni altra autorità. Ammiro le nuvole, il vento, la pioggia, ma del mare ho il rispetto dovuto alla sua autorità.
Ho imparato dalle scogliere che il suo vero colore è il bianco, che si rivela all’attrito dell’onda con la roccia, sulle creste frustate dal vento.
Oggi è campo di naufraghi e di salvatori a scippo di abbandonati al largo. Ne salvano manciate coi piedi già diretti verso il fondo e al porto di sbarco sono incriminati per avere salvato. Se non fossero esseri umani a essere soccorsi, per le autorità sarebbe pesca di frodo. Per le autorità va praticata la omissione di soccorso.
Come potrei rispettare questa autorità? Rispetto chi sta in mezzo al mare in inverno a fare supplenza di umanità a nome della specie cui appartengo.
Più tardi ho conosciuto le montagne praticando alpinismo sulla vastità delle pareti.
Lì vedo il mondo com’era prima del nostro avvento e come tornerà dopo l’assenza.
Lì si rinnova l’evidenza di essere un intruso privo di licenza, visto, invito.
Lì esiste la pietra, l’aria, l’acqua e il fulmine nella burrasca e un altro significato del verbo esistere.
Lì riconosco il nome sabato/shabbàt, di cessazione, arresto del nostro intervento sulla terra, pausa prescritta alla sua sottomissione.
Non è madre, la terra, ma serva asservita e riserva raschiata fino al fondo del pozzo e delle viscere.
Anche in montagna si incrimina chi aiuta il viandante a trovare la sua strada attraverso i boschi e le scarpate.
Abito un tempo rovesciato, ma non mi faccio rovesciare dal tempo.
Vedo le ali che galleggiano sopra le correnti ascensionali, indifferenti a noi. In basso la terra sta in esilio nel residuo di spazio lasciato dalle autorità. La libertà comincia dove quelle smettono.
Il canto di un uccello nella sua gabbia non è forse altrettanto armonioso?
Trovo sia una preghiera l’immagine del fumatore che misura la sua gabbia col respiro.
Si prega sempre facendo – contemporaneamente – qualcos’altro.
Non credo alla preghiera che si fa rinchiusi in solitudine in un monastero e chinati sulle proprie ginocchia.
Ho sempre desiderato fumare e non ho mai avuto il coraggio di incominciare.
Racconta tanto di noi il nostro rapporto con le sigarette, forse la mia non è tanto paura di arrecarmi un danno consapevolmente, quanto piuttosto un timore – infantile – di non saper gestire il flusso di pensieri tra l’ultima e la successiva o peggio ancora di diventarne dipendente.
Scomodiamo Zeno, il ricordo della sua coscienza così umana perché imperfetta anche se di impeccabile letteratura.
Grazie Erri ,davvero non facciamoci rovesciare dai tempi.Adesso prendo due gocce e cerco di dormire.
Per chi ha visto Roberto Saviano stasera e per chi frequenta questo spazio, una domanda: lo sgomento condiviso diventa meno pesante?
Non ho una risposta ma lo strazio rimane ,comunque, enorme.Non ho la fede che sposta le montagne,non abbiamo la forza per fermare il
macello a due ore di volo da Roma.Le stelle sono troppo lontane mentre la vita qui in basso continua nel modo di sempre :a due passi da noi atrocemente.
Ascoltando Bach fumo una sigaretta.Viene in mente quel monaco che chiedeva se poteva pregare mentre fumava.I pensieri si pensano meglio
tra una sigaretta e l’altra per un tabagista Pensieri come ali che galleggiano sopra correnti ascensionali.Chissà forse riuscirò a fumare solo poche sigarette,prima o poi.Trovare un equilibrio senza mandare il pensiero in esilio.I fumatori conoscono la loro gabbia ,la misurano col respiro,pensando sempre a come ridurre il danno.Inevitabilmente si pensa alle gabbie libiche………oggi domenica delle Palme
Forse è questo che accade prima di superare un limite.
Comincia con un lungo periodo in cui il giorno e la notte diventano pensieri senza forma e per questo fanno paura; le forme danno conforto, perché si impara a conoscerle e a convivere con esse.
Poi quei pensieri informi rimangono lì come promemoria di un tempo che passa e che deve essere riempito, accudito e nonostante la loro vacuità fanno compagnia all’ospite, che allora non ha più paura; è così naturale fluttuare nel vuoto.
Le vecchie forme cedute. Ricominciare dal nulla. In questa gabbia di risonanza a qualcosa che non è ancora e che richiede urgenza di equilibrio. E’ in tutte le cose, l’equilibrio. E si apprende in quella gabbia.
A un’amica Myriam Bagnoli.
Uscivi da un tempo rovesciato,pure io.Barcollavo ancora ma cominciavo a stare in piedi.Non ti ho chiesto quale era il tuo tormento allora,
oggi me lo chiedo e non avrò risposta.leggo una tua poesia che finisce in questo modo
-Nessuno di noi credeva che saremmo partiti,
nessuno di noi pensava che non saremmo tornati,
nessuno sapeva che eravamo tutti viaggiatori senza bagaglio-
Parole che oggi sembrano profetiche.Ti ringrazio ,con molto ,molto ritardo
Quello che spaventa è la dimenticanza
o meglio ,la costante voglia di far sparire tracce del passato.
-Righe che vanno troppo spesso a capo-
POVERA ITALIA
Penso (dunque sono) :siamo al circo Togni.(GRANDI COMICI GIOCOLIERI BALLERINE PAGLIACCI)
AH LE MIE BALBUZIE SENTIMENTALI E POLITICHE.PER UN ATTIMO SENTO UN NODO IN GOLA.
POI ASCOLTO FOLAGHE DI FABER E STO SUBITO MEGLIO
Gli schiavi di oggi_perchè come chiamare diversamente i prigionieri delle gabbie libiche_ cercano vita,semplicemente vita.
Attraversano labirinti d’acqua e di sentieri di montagna.Cercano vita in Europa,madre della democrazia e dei diritti.
_L’aria delle città rende liberi_si diceva in Grecia e nel medioevo.Guardiamo le nostre città oggi ( e l’Europa dovrebbe, potrebbe
essere una grande città)Ci sentiamo liberi o la meticolosità con cui definiamo_altri_molti di quelli con la pelle più scura della nostra,
a volte migliori a volte peggiori, ci fa sentire in un perenne stato d’assedio ?
IUS SOLI almeno questo chiedo,un primo gradino per fare ordine nel gran caos e delle regole e delle nostre teste,in questo tempo rovesciato.
Come si fa, Erri caro, a non farsi rovesciare dal tempo?
Io sono ancora nella fase delle isole, Ischia, Capri, la Sicilia, tutta. Mi piace che la mia pelle indurisca, che il vento mi spettini, che il mare mi spaventi.
Ma non ti nascondo che mi hai piantato dentro un inizio di curiosità per la montagna, non tanto per provare a sentirmi intrusa – che è una mia propria attitudine ovunque – ma per vedere “il mondo com’era prima del nostro avvento e come tornerà dopo l’assenza”.
Leggo tanta poesia, in questa fase di passaggio. Stamattina avevo tra le dita questa:
“La poesia è un mucchietto di neve
In un mondo col sale in mano.
La poesia è amputazione.
Scrivere è annusare
la rosa che non c’è (Franco Arminio)
Lui è uno che ha scritto un libro di poesie che si chiama Cedi la strada agli alberi.
Evviva i poeti.
Vorrei scrivere come Erri De Luca.
L’unica autorità da rispettare è quella del diritto umano a vivere, costola di un volere divino che qualcuno sembra voler parcellizzare per convenienza. Pure nelle definizioni… migranti? non vuol dire niente, pure gli uccelli migrano. Richiedenti asilo? No, solo un posto dove stare, in attesa di decidere cosa farne di una vita rimanente… Clandestini? Ma clandestino a chi? E di chi? Come se non bastasse aver perso la patria, il dialetto, la propria gente, scappando da un inferno che altro che i documenti ti ha smarrito. Ma finché si guarderà il proprio giardino, e si ascolteranno i falsi profeti, niente diritto di vivere, niente parola divina che apre le porte. Al massimo: qualche sgabuzzino … o Cie. Fanno bene a tentarle tutte allora, dai gommoni agli scogli, dalla punta estrema della Francia alla punta del monte innevato… via. Via , anche con un figlio in pancia che vuole saltar fuori per giocare con la neve. Via, perché da qualche parte una casa c’è, una vita c’è, come c’è qualcuno che tolta la divisa si scopre uomo e torna a prudergli una costola, e sa che deve decidere per un diritto ancestrale. Ciao Poeta <3
Testo superbo.
Testo superlativo come un pugno nello stomaco. Clara Giovanetti
Non racconta a se stesso una verità di comodo per poter credere ad essa. Perché la verità sta in proporzione con la realtà, come L’Appeso sta, nella posizione preferita dai poeti, gli opossum e i pipistrelli, in un tempo d’attesa nel quale il superfluo si dissolve ed è possibile vedere lontano.
προμανϑάνω … declinato al tempo presente…
Erri, questo potrebbe essere il monologo di un novello Prometeo.
Ma solo lo spirito soffia liberamente dove vuole e, forse, inutilmente.
Il poeta ha più occhi e più orecchie ,vede e sente meglio di noi ,quasi sempre.