Un po’ per scherzo, un po’ per vero dico che chi desidera insultarmi deve farlo in napoletano, perchè in italiano non mi fa niente.
Uso l’esempio di chi tira un sasso: se me lo tira in italiano colpisce l’ombra, non il corpo.
Allora la lingua napoletana è il corpo e l’italiana è l’ombra? Così è per me.
L’ombra proviene da un fonte di luce che investe il corpo e lascia l’orma in terra o sopra un muro. La fonte di luce è il vocabolario italiano che m’illumina e si proietta su una superficie.
Mentre il mio corpo è napoletano per via di lingua dell’intimità con me stesso, per il mio sistema nervoso indifferente alle agitazioni degli agenti atmosferici. Crescere alle pendici di un vulcano determina una scala di priorità negli incubi.
Il corpo è napoletano nei sentimenti di compassione e di giustizia, perchè formati su esempi e casi locali, dall’infanzia in poi.
La lingua italiana è stato il dono ricevuto dai libri della biblioteca nella casa dei miei. Loro leggevano e leggere anch’io era un’emancipazione dallo stato infantile. Era la parità con loro, con gli adulti.
L’italiano da allora mi accompagna ovunque anche nei sonni. Si dilegua quando passo per Napoli. Si mette da parte quando faccio i conti con me stesso.
L’italiano è quanto di meglio posso proiettare su questa pagina.
“Il mio corpo continua ad avere l’ago della bussola che punta i suoi organi interni di là dal mare, lontano in occidente.” (Erri De Luca) : è una domanda. Alla quale non mi è concesso di avere una risposta ma a me sembra che quando l’ombra prova a relazionarsi con il corpo, questo diviene presenza anche di persone diverse, come di dimensioni, e “luoghi, emozioni che tornano a trovarti”. L’ombra traduce alla lettera quello che il corpo espande. E tutto diviene più distante. La priorità ce l’ha il dolore.