Nei quaderni che scrivo, tra la maggioranza di linee che utilizzano tutto il rigo e sono in prosa, ce ne sono con delle linee brevi, sono in versi.
Hanno la stessa provenienza.
Ci sono brevi immagini che aspettano a lungo prima di affacciarsi. Quando si decidono, riconosco che vengono da una sala d’attesa. Allora le registro.
Scrissi “Mare nostro che non sei nei cieli” a Lampedusa. Era il primo anniversario di un naufragio avvenuto a poca distanza dalla riva.
I pescatori rientrando dal turno di notte in mare si trovarono a passare tra relitti e corpi ancora in vita. Li issarono a bordo.
L’anno dopo con loro sono andato sul posto del naufragio, segnalato da una boa. Decidemmo di non buttare fiori, ma sale grosso, a pacchetti. Non per salare il mare, ma perchè quel punto era una ferita aperta e non si doveva rimarginare. Queste giustifiche non sono riportate in quelle righe.
I versi tra di loro hanno dei vuoti, delle parole mancanti che tengono insieme quelle scritte.
Le righe in prosa cercano invece di dire il più possibile.
Nel gentile rilascio di un ricordo da parte della mia memoria ho rivisto una sera di Natale, quando si andava a gridare i saluti ai compagni arrestati. Dal piazzale del Gianicolo, a Roma, scandivamo i nomi dei nostri. Il carcere di Regina Coeli era lì sotto, i chiamati gridavano risposte.
Lo scambio durava fino all’arrivo della polizia. Segnava i nostri nomi, seguiva la denuncia per schiamazzi, la più lieve tra le tante che riempivano i nostri fascicoli giudiziari.
L’avevo dimenticata. Allora la memoria una sera di Natale, delle mie lasciate senza celebrare, mi ha riportato ai gridi dal Gianicolo.
Dai gridi ai versi il viaggio è stato breve. Più lungo quello del ricordo entrato non dalla porta, invece dalla cappa del camino acceso, un ricordo scottato.
Questa pagina serve a spiegare cosa mi preme a scrivere dei versi.
Nei quaderni, tra pagine fitte di prosa ce ne sono alcune diradate, con righe interrotte, spezzettate, alla maniera delle poesie.
”Senza di te io sono una maniglia senza porta”: anche questo verso è entrato dalla cappa del camino, evocando il frammezzo mancante, la porta da cui hanno accesso, improvvise, immagini inespresse e che provocano scompiglio “tra” le righe.